Udite, udite, o rustici! Il segretario fiorentino si è appropriato il maggiore partito politico e conduce cruciali riunioni diffuse in diretta streaming. Non più in segrete stanze si raccolgono i dignitari, ma in assemblea cui tutti abbiano accesso. La forma nuova trasmette un messaggio chiaro: nell’intento del segretario, tutti hanno diritto di vedere come il partito rifletta, come le decisioni maturino soffertamente, nella condivisa fatica del ragionamento. Il nuovo Dulcamara, dalla virtù preclara, gestisce il partito in una casa di vetro.



Peraltro, i vetri delle finestre, se del tutto trasparenti, non si notano. Eppure limitano lo sguardo dell’osservatore che scruta il paesaggio: quel che vede dall’interno della casa non esaurisce la realtà osservata. Del pari, chi assiste da spettatore esterno a una riunione a porte aperte non vede quel che davvero conta: non comprende se i protagonisti facciano sul serio o se recitino per il pubblico. Non è lì che decidono e non decidono sulla base di quel che dicono lì: non sono tipi ingenui; ma, probabilmente, sperano che gli spettatori siano così gonzi da bersi questa messa in scena.



Cambiare tutto affinché nulla cambi: si innova la forma esteriore e, grazie a giornalisti amici, si punta a colpire e affascinare chi sia disposto a credere che a forme inconsuete corrispondano metodi nuovi. A dire il vero, l’innovatore delle forme è stato Beppe Grillo: egli ha usato la diretta streaming per impersonare il ragazzo che nella fiaba scopre il re Bersani nudo. Renzi cerca di imitare Grillo, ma invece che nella realtà della fiaba egli conduce il pubblico in un reality show. Renzi sta a Grillo come il “Parmesan” sta al Parmigiano Reggiano.

Anche i metodi sono antichi. Basti pensare ai congressi del glorioso Partito Comunista dell’Unione Sovietica, con molti lunghi discorsi, le cui voci non fingevano neppure di nascondere il fatto che le decisioni erano già state prese altrove.



Dicono che ogni lustro si cambia gusto. Questo vale decisamente per il Partito democratico, che sperimenta un incessante goethiano stirb und werde (“muori e divieni”). In questa fase storica, il Partito deve mostrare che l’epoca a.R. (ante Renzi) si è chiusa con l’arrivo dell’homo novus. A dire il vero, qualcosa di simile avviene per ogni partito, a ogni cambio di guida politica, ma senza imporre come autentiche le ipocrisie rituali e senza la pretesa di ridurre la realtà alle apparenze che servono al potere per nascondersi ai profani.

Costoro sono trattati come spettatori un po’ tonti. Guardano, e si fa loro credere che partecipino all’evento. Ma non vivono nella realtà; vedono solo una trasmissione. 

Non sono davanti a un avvenimento; assistono a una puntata meno riuscita del “Grande Fratello”. I protagonisti sono personaggi e interpreti di un copione, senza la genuinità di qualcosa che si verifica e senza la simpatia da popolani tamarri che fa audience

A decidere il significato è il regista del partito e al posto del fatto c’è la “narrazione”. Egli parla e parla, e le sue parole sostituiscono i fatti. È il trionfo del postmoderno: il significato non è dato dalla realtà, ma da chi la interpreta e decide che quello è lo spettacolo che tutti sono tenuti a vedere e a sostituire con la realtà. Perché la realtà si esaurisce nelle apparenze e nelle parole che “narrano” le apparenze. Non è dunque lì la vera riunione del partito. Quella, l’hanno già fatta o la faranno in altra sede. Gli arcana imperii non ammettono sconti e non fanno parte della narrazione, ma della realtà, quella che non è su Scherzi a parte e prima o poi travolgerà in streaming un po’ tutti i registi della politica.