Il “mantra elettorale” di Renzi è che il giorno dopo l’elezione si deve sapere chi vince e governa e chi le perde e sta all’opposizione.
In democrazia chi ottiene il 50% + 1 dei voti validi (esclusi gli astenuti, che pure significano qualcosa, le schede bianche e quelle nulle) vince le elezioni e ha diritto di governare.
Sotto quella soglia non c’è un vero vincitore, né lo può produrre la legge elettorale da sola, e – dopo la sentenza della Corte costituzionale – a favore della governabilità residuano poche e limitate opzioni.
Il “mantra elettorale” di Renzi non funziona, perché si vorrebbe una legge elettorale bipolare (fondata sulla definizione di chi vince e chi perde), mentre il sistema politico si è consolidato su un assetto tripolare e la legge elettorale non può dare ciò che il sistema politico non promette.
Ecco perché le tre proposte, avanzate da Renzi per la riforma della legge elettorale, pur non considerando le specifiche critiche cui ciascuna di essa può andare incontro, non vanno bene. Sono tentativi di ridurre la complessità politica del sistema dei partiti a un sistema di governo bipolare e si dovrebbero basare tutte su un’alterazione considerevole della rappresentanza politica per favorire la governabilità.
Di quale alterazione stiamo parlando?
Secondo gli ultimi sondaggi è stato calcolato che il 31% degli elettori si astiene o non sa per chi votare; il restante 69%, sulla base di coalizioni virtuali, si dividerebbe tra il 36,1% per il centro sinistra, il 35,2% per il centro destra e il 20,7% per il M5S, il 5,3% per il centro, il 2,7% raggrupperebbe i restanti altri.
Se rapportiamo queste percentuali agli elettori la prima forza politica è data dagli astenuti (31%), molto dopo arrivano il centrosinistra (24,909%) e il centrodestra (24,288%), dopo il M5S (14,283%) e, infine, il centro (3,657%).
In una democrazia matura si può pretendere tutto il potere di governo con solo il 24,909% degli elettori? Mi sembra una pretesa infondata. Tuttavia, anche se prescindiamo dagli elettori e consideriamo i voti validi, qual è la misura dell’alterazione che dovrebbe consentire di governare alla forza politica – in termini relativi – arrivata prima?
Consideriamo la Camera dei deputati e prendiamo per buono che vadano a votare in modo valido il 69% degli elettori pari a 32.517.164,94. Le quattro forze considerate avrebbero 31.638.841,48 e dovrebbero dividersi i 618 seggi della Camera.
Vediamo come operano le diverse ipotesi avanzate da Renzi: con il “mattarellum rivisitato” i 475 seggi dei collegi maggioritari verrebbero divisi più o meno a metà tra il centrosinistra (11.738.696,54) e il centrodestra (11.446.042,06), al primo andrebbero 240 seggi al secondo 235, ma al centro sinistra andrebbero altri 92 seggi di premio e perciò si arriverebbe a 332 seggi, buoni per governare, mentre il centrodestra rimarrebbe a 235 e M5S e centro, in modo proporzionale, si dividerebbero il diritto di tribuna che in questo caso ammonterebbe a 51 seggi complessivi.
Con questo sistema il centrosinistra che ha ottenuto il 36,1% dei voti avrebbe il 53,7% dei seggi: uno sbilancio percentuale, dovuto alla previsione di maggioritario e premio di maggioranza (un vero aborto democratico), di +17,6% sui votanti e di +28,8% sugli elettori. Il centrodestra avrebbe il 38% dei seggi e uno sbilancio pari a +2,8% sui votanti e a +13,7% sugli elettori. Il M5S e il centro insieme, invece, avrebbero 8,25% dei seggi e uno sbilancio pari a -17,75% sui voti e a -9,75% sugli elettori.
Con lo “spagnolo rivisitato” si potrebbe verificare che nelle 118 circoscrizioni solo 54 avrebbero 5 seggi e 64 avrebbero 4 seggi. Ipotizziamo che nelle 64 circoscrizioni con 4 seggi possiamo calcolare una attribuzione di 2 seggi al centrosinistra 2 al centrodestra e nelle 54 circoscrizioni con 5 seggi possiamo calcolare aggiungere 1 seggio al M5S. Il centro sarebbe fuori. Il M5S avrebbe 54 seggi. Il centrodestra avrebbe 236 seggi e il centrosinistra raggiungerebbe, con il premio di 92 seggi, 328 seggi. In conclusione, la Camera sarebbe composta da 3 soli gruppi, con un effetto maggioritario per il centrosinistra, rispettivamente, pari a +16,97% sui voti e +18,17% sugli elettori, per il centrodestra pari a +2,99% e a +13,80 e per il M5S pari a -11,96% e -5,56%.
Il più paradossale sarebbe il sistema del “sindaco d’Italia rivisitato” per le elezioni politiche. Qui sarebbe prevista una clausola di sbarramento al 5%, che potrebbe essere sufficiente a far fuori il centro. Tuttavia, quand’anche il centro la superasse sarebbe tra i raggruppamenti perdenti cui spetterebbero il 40% dei seggi (247), mentre al solo centrosinistra per una differenza di +292.654 voti andrebbero il 60% dei seggi (371), l’effetto maggioritario per il primo raggruppamento sarebbe pari a +24% sui voti ottenuti e +35% sugli elettori, pressoché pari a quello derivante dall’applicazione del “porcellum” nelle ultime elezioni e che ha determinato la dichiarazione di incostituzionalità del premio da parte della Corte costituzionale.
Come si vede siamo lontani da un meccanismo soddisfacente dal punto di vista politico e, soprattutto, da quello costituzionale.
Resta un ulteriore profilo da considerare.
La nuova legge elettorale sarà figlia anche delle vicende di questa legislatura, nel senso che essa dipenderà molto dalle riforme costituzionali sul bicameralismo e sul Titolo V, dalla nuova legge sul lavoro e dalle modifiche alla legislazione tributaria (le tasse sulla casa e su quant’altro).
Se la legislatura attuale realizzerà queste riforme, allora la legge elettorale può tendere di più alla governabilità e si potrà ricercare un compromesso in quella direzione. Se, invece, la legislatura andrà avanti così com’è stato sinora, e cioè senza grandi iniziative e le riforme di fatto saranno rinviate alla prossima legislatura, allora la legge elettorale sentirà maggiormente le pressioni verso un assetto più rappresentativo delle forze politiche e, perciò, più proporzionale (come già sta chiedendo il M5S, che chiede il voto con la legge risultante dalla sentenza della Corte costituzionale).
Comunque vada a finire siamo ancora in mezzo al guado e le proposte di Renzi non sembrano essere un “toccasana”.
Forse non conviene rivisitare i sistemi elettorali, ma partire dalla salvaguardia di quel poco di democrazia che ormai ci rimane.