Qualche settimana prima di morire, l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga andò a trovare a Hammamet un Bettino Craxi stanco e provato. Il leader socialista era stato appena operato in un ospedale tunisino, era gravemente ammalato e sapeva di morire. C’è una fotografia struggente che sigilla il momento dell’addio tra quei due grandi personaggi della tanto vituperata “prima Repubblica”. Si vede Cossiga che abbraccia teneramente, con affetto quasi paterno, un uomo seduto, che, anche se volta le spalle alla macchina fotografica, mostra tutta la sua magrezza e la sua prostrazione fisica. Ricordò Cossiga, con commozione, qualche tempo dopo: “Mi disse: Francesco, lo sai, questa è l’ultima volta che ci vediamo”.
Quell’immagine rappresenta non solo un momento di grande umanità da consegnare alla storia, ma anche una tragica contraddizione italiana. Il cosiddetto “latitante” veniva abbracciato da un ex presidente della Repubblica, da un senatore a vita. E in quella casa di Hammamet, da tempo c’era una sfilata di amici, uomini politici, giornalisti che andavano a parlare con Craxi.
Nell’Italia, patria indomabile di smemoratezze e rimozioni, vale la pena di ricordare che Bettino Craxi morì il 19 gennaio del 2000 (oggi è il quattordicesimo anniversario), nella sua casa di Hammamet, e il funerale si svolse a Tunisi, nella Cattedrale di Saint Louis, il 21 gennaio, alla presenza di duemila persone.
Ma che cosa vale la pena soprattutto di ricordare? Che in quell’occasione lo Stato italiano (già in epoca di seconda Repubblica) si esibì in una tragica commedia, che superava il classico grottesco. A Roma, in quel 21 gennaio 2000, era da poco in carica il secondo governo di Massimo D’Alema, il primo ex comunista a Palazzo Chigi, che autorizzò i “funerali di Stato”. Nella cattedrale di Tunisi erano presenti in rappresentanza del governo niente meno che il ministro degli Esteri, Lamberto Dini, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Marco Minniti, che a un certo punto della cerimonia usciranno da una porta laterale della grande chiesa e verranno contestati. Anche in questo caso l’immagine è storica, perché lo Stato italiano sembra sdoppiarsi in un duplice potere contraddittorio: quello dell’esecutivo che decide “funerali di Stato” e quello della magistratura che considera Craxi un latitante, che è sfuggito alle sentenze delle corti penali.
In quella cerimonia c’era la fotografia perfetta delle contorsioni istituzionali italiane. Fu letto il messaggio di Papa Giovanni Paolo II; il vescovo di Tunisi, Fouad Twal, scelse per l’omelia il Libro delle Beatitudini, scandendo: “Beati i perseguitati dalla giustizia”; nella cattedrale fu inutile trovare un posto per il cognato di Bettino Craxi, Paolo Pillitteri, trattenuto a Milano dal divieto dell’intransigente procuratore generale, Francesco Saverio Borrelli, perché l’ex sindaco di Milano era stato condannato ai servizi sociali.
Un giorno, gli storici faranno veramente i “conti con la storia”, soprattutto di questi ultimi venti anni di “seconda Repubblica”, ma intanto si possono riassumere, per rendere onore a un leader come Craxi, alcune scelte fatte nella sua vita politica e alcune previsioni sul futuro dell’Italia.
Fin da quando era un giovane universitario che si occupava di politica, Craxi rivendicò sempre il suo autonomismo socialista e il suo convinto riformismo. Nel momento in cui divenne segretario del Psi, nel 1976, Craxi caratterizzò la sua linea con alcune scelte decisive. La prima fu una politica di riforme, anche attraverso il centrosinistra e l’alleanza con la Dc in Italia, che lo collocava nel mondo occidentale, in periodo di “guerra fredda”, con una connotazione di sinistra socialdemocratica e la vicepresidenza dell’Internazionale socialista.
Va interpretata in questo modo la sua politica antisovietica, ai tempi della dura polemica sui missili da predisporre contro gli SS-20, che l’Urss aveva piazzato contro quasi tutte le capitali occidentali. Se si andasse a rivedere le cronache del tempo, si scoprirebbe che, accanto al “pacifismo” del Pci, c’erano tante “anime belle” che oggi sono ancora protagonisti, in politica e nel giornalismo, e si sono quasi dimenticati di essere stati “utili” pedine della ormai “autunnale” politica propagandistica del Cremlino dell’epoca.
Allo stesso tempo, Craxi rivendicò sempre l’autonomia e l’indipendenza dell’Italia all’interno dell’Alleanza Atlantica. L’episodio di Sigonella del 1984, quando si oppone all’arroganza degli americani nella trattativa con i terroristi dopo il sequestro della nave “Achille Lauro”, è un fatto emblematico, un gesto di grande fermezza per ribadire il ruolo internazionale dell’Italia soprattutto nell’area mediterranea.
Ma, restando alla politica estera, non va dimenticato il Consiglio europeo di Milano del 28 giugno 1985, quando Craxi mise in minoranza, sulla revisione dei Trattati europei e sull’accoglimento delle proposte di Jacques Delors, il leader inglese Margaret Thatcher, che se ne andò via “furibonda” dal Castello Sforzesco.
Il Bettino Craxi che si faceva valere sul piano internazionale, non era certo diverso da quello che era protagonista della politica italiana. Ci sono alcuni fatti caratterizzanti della politica craxiana che danno la misura della statura del leader socialista. Il primo è una sfida sul piano del riformismo al Pci, che non veniva affatto considerato indispensabile nella formazione di un governo, come avveniva dopo la politica del “compromesso storico”. Piuttosto, anche se rispettoso per la scelta di tanti comunisti, Craxi incalzava il Pci a fare non solo delle continue “svolte”, ma un’ autentica scelta verso la socialdemocrazia europea. Poi una “non subalternità” verso i sindacati, come si vide nel famoso referendum sulla scala mobile del 1985.
Inoltre, una fiducia nella capacità dell’economia italiana, in quel “made in Italy”, che Craxi rivendicò in più occasioni, ripetutamente. E nello stesso tempo una nuova funzionalità di sinergie tra impresa pubblica e privata in un’economia mista da riformare con grande attenzione, non con autentici colpi di mano, con privatizzazioni senza liberalizzazioni, come avvenne negli anni Novanta e che già si erano tentati a metà degli anni Ottanta.
Il leader socialista non si sottrasse neppure alla necessità delle riforme istituzionali. E’ coniata da Craxi l’urgenza della “grande riforma”, che mise quasi in subbuglio tutto l’establishment italiano, quello pubblico-burocratico e quello degli allora “grandi poteri” privati.
Infine non va dimenticata la riforma della giustizia, maturata con il referendum del 1988, con l’ottanta percento degli italiani che votò a favore della necessità di una riforma.
Il riassunto della politica craxiana, come è normale, non è certo esente da errori. Ma se si pensa al bilancio complessivo è difficile sfuggire da un giudizio positivo. Eppure, all’inizio degli anni Novanta, quando il mondo cambiò e si aprì un’altra epoca storica, Bettino Craxi diventò il “capo indiscusso del sistema delle tangenti”, della “repubblica da cambiare radicalmente”. In Italia sbarcò il “nuovismo” e si aprì la stagione di “tangentopoli”, del “postcomunismo” e del “berlusconismo”.
Craxi guardava da lontano, da Hammamet, dalla Tunisia, lo svolgersi della politica italiana e le sorti del Paese. Era preoccupato soprattutto che si creasse un “buco di memoria”, un “vuoto storico” che non avrebbe fatto comprendere quanto stava accadendo in Italia. Sul sistema del rapporto tra politica e affari, Bettino Craxi non fu mai reticente: lo aveva ripetuto tre volte in Parlamento, lo disse pubblicamente a chi lo intervistava. Sosteneva che il sistema andasse riformato, ma che non tutto poteva essere brutalmente e semplicemente criminalizzato. Con una frase tremenda, diceva spesso degli esponenti della seconda Repubblica: “Mentono per la gola e sanno di mentire. In questo modo non si risolverà nulla e non si va da nessuna parte”. Aggiungeva: “Vogliono rovinare l’Italia”.
C’era chi lo giudicava un interessato pessimista, allora. Ciascuno faccia un bilancio di quegli anni e lo paragoni a quelli che stiamo vivendo. E faccia anche qualche considerazione sulle contraddizioni viste nella tragica vicenda di Bettino Craxi.