Scontro in direzione tra Matteo Renzi e Gianni Cuperlo. Ieri il segretario ha illustrato all’organo politico del partito la proposta di legge elettorale, frutto dell’accordo con Silvio Berlusconi. L’Italicum, stando al testo che Renzi ha messo al voto in direzione (111 sì, 34 astenuti), prevede una distribuzione dei seggi con metodo proporzionale fatta su base nazionale (e non di circoscrizione); una soglia di sbarramento (12% per le coalizioni, 5% per e listee coalizzate e 8% per quelle non coalizzate), un premio di maggioranza (18% dei seggi in palio da attribuire a chi abbia almeno il 35% dei consensi (diversamente si va al bollattaggio di coalizione), una distribuzione dei seggi su circoscrizioni molto piccole (ispirata al sistema spagnolo) e liste bloccate e corte.
Tutto bene dunque? Non proprio. Cuperlo, nel suo intervento, ha definito la riforma presentata dal segretario “non convincente” perché “non garantisce né la rappresentanza adeguata né il diritto dei cittadini di scegliere gli eletti né una ragionevole governabilità”.
Ilsussidiario.net ha chiesto ad Annamaria Poggi, docente di diritto costituzionale nell’Università di Torino e già membro del gruppo di saggi nominati nel luglio 2013 da Enrico Letta, un commento alla bozza.
“Farei due riflessioni. La prima è che sembra si stia andando in una direzione auspicabile, cioè che si faccia la legge elettorale insieme ad una riforma strutturale del parlamento. È un buon segnale”.



E la seconda?
Da come vedo costruire per ora la legge elettorale, vi sono alcuni punti che non sono ancora allineati a quello che la Corte costituzionale ha stabilito.

Che cosa non la convince?
La consistenza del premio di maggioranza e la scelta dell’elettore.

Veniamo al primo.
Sicuramente l’accordo Renzi-Berlusconi risponde alle esigenze fatte valere dalla Corte e cioè che il premio di maggioranza abbia una soglia di attribuzione non sproporzionata. Ma qui la soglia è addirittura troppo bassa.



Sul serio?
È il 53%. Nel testo di Renzi si legge che “in seguito all’attribuzione del premio di maggioranza una lista o una coalizione di liste non può in ogni modo ottenere un numero di seggi superiore al 55%”. In un modo o nell’altro, non siamo lontani dalla formula che abbiamo visto non funzionare fino a ieri. È un’ipotesi che riduce in maniera consistente il premio di maggioranza, come la Consulta aveva chiesto, ma probabilmente lo riduce troppo per garantire la stabilità della maggioranza e la governabilità.

Quindi lei alzerebbe la soglia.
Per forza. Se rimane com’è, è poco più della maggioranza più uno. Vuol dire che chi governa è sempre a rischio.



Veniamo alle preferenze. Quello del diritto di scelta da parte dei cittadini è uno dei punti critici rilevati da Cuperlo.

La questione delle preferenze è ancor più grave, perché qui (nel documento, ndr) vedo mantenere il sistema delle liste bloccate. Si parla di circoscrizioni con pochi seggi in palio “in modo che i nominativi dei candidati possano essere stampati direttamente sulla scheda”.  È questo il punto. Va contro quello che ha detto la Corte: la scelta dell’elettore ci deve essere e non può essere totalmente condizionata dalla volontà del partito.

Nella sua replica, Renzi ha risposto all’obiezione dicendo che poiché le liste saranno corte e i deputati saranno pochi, allora il rapporto tra elettore ed eletto è garantito.
Non è così. Non si può avere un sistema di liste solo bloccate, ha detto la Corte. In altri termini, non è che un partito, selezionando cinque-sei candidati e sottoponendoli al voto dell’elettore, per ciò stesso garantisce la possibilità di scelta. Così facendo lo lascia scegliere, sì, ma entro un ventaglio di nomi stabilito a priori. Invece la Consulta ha detto che non si può non attribuire un minimo di facoltà di scelta all’elettore. Dice anche che ci possono essere sistemi misti; come avverrebbe adottando il listino bbloccato.

In tal caso?
In questo caso il partito presenta, per esempio, 50 nomi, di cui i primi sei fanno parte del listino bloccato. Se la lista vince con pochi voti, quasi sicuramente viene eletto chi sta in listino, ma più voti la lista riceve, più c’è la possibilità che vengano eletti anche i candidati che sono fuori del listino. Questo non può avvenire se il partito decide tutti i nomi stampati sulla sheda.

Pare non esserci un premio da attribuire al secondo turno.
Non ce n’è bisogno, perché, dice il testo, “fra il primo e il secondo turno non sono possibili apparentamenti”. Se due partiti in competizione ottengono al primo turno il 34 e il 33%, e al secondo ancora il 34 e il 33, il primo si aggiudica il 53% dei seggi. Al secondo turno partecipano solo la prima e la seconda coalizione del primo turno.

Le riserve che lei ha fatto sulla soglia del 53% valgono anche per il secondo turno?
Certo.

La bozza di Renzi, nella parte dedicata al Senato, prevede una “clausola di salvaguardia”: se si vota prima dell’approvazione della riforma, il Senato segue le stesse regole della Camera.
È un altro grosso problema, perché si prevede “l’attribuzione dei seggi anche del premio su base interamente regionale”. Il senso è chiaro, ma anche questo va contro la sentenza della Consulta. L’attribuzione al Senato dei seggi sulla base di premi interamente regionali è ancor più incostituzionale delle incostituzionalità rilevate nella legge elettorale della Camera.

(Federico Ferraù)


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