Acque agitate scuotono la barca del Pd. L’incontro di sabato a Roma tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi ha fatto saltare il banco: le tre ipotesi di legge elettorale sul tavolo sono finite in soffitta per lasciare spazio all’Italicum firmato Renzi e Berlusconi. Ma il faccia a faccia romano tra il leader dem e il capo di Forza Italia ha scatenato di rimbalzo un terremoto in casa dem. In assemblea il segretario e il presidente Gianni Cuperlo si sono tirati qualche stoccata, con il sindaco di Firenze che ha ricordato al collega di partito di essere entrato in Parlamento con le tanto criticate liste bloccate (previste, seppur in versione ridotta, dall’Italicum). Parole che non sono stato digerite dal presidente che – dopo aver abbandonato la sala –nella giornata di ieri ha presentato in una lettera a Renzi le sue dimissioni. Cuperlo scrive: “Voglio avere la libertà di dire sempre quello che penso”. Il clima nel partito, insomma, non è dei migliori. C’è un rischio scissione? Lo abbiamo chiesto a Pippo Civati.



Inevitabile partire dalle dimissioni di Gianni Cuperlo. Come le commenta?

Beh, mi dispiace. È, in realtà, una decisione maturata già nella serata di lunedì che dipende da un’uscita che Renzi si poteva risparmiare, ma anche da una contraddizione tra il ruolo di presidente e quello di capo corrente che Cuperlo inevitabilmente riassumeva creando un po’ di contraddizioni. Per cui, ripeto, mi dispiace perché aggiunge fibrillazione in un momento in cui al Pd serve un dibattito molto più serio sui contenuti e molto meno acceso sulla rivalità e sui dissidi personali.



Cuperlo ha postato la sua lettera di dimissioni su Facebook e tra i commenti si leggono molti elettori invocare la nascita di una nuova realtà politica di sinistra che vi veda protagonisti insieme. È un ipotesi percorribile in un futuro, prossimo o no che sia?

Vorrei evitare che di fronte ad un episodio del genere si parlasse già di scissione. Abbiamo fatto un congresso un mese fa e Renzi ha vinto alla grande. Penso che sia giusto seguirlo nei nostri rispettivi ruoli e con le nostre sensibilità, discutendo all’interno di un Pd che sia sempre più grande, per rafforzarlo e non per spaccarlo in mille pezzi. Quindi, dando una risposta secca, sono molto cauto e negativo in merito.



Entrando invece nel merito dell’Italicum. Cosa c’è che non va?

Innanzitutto il nome. Perché mi fa venire in mente un brutto e dolorosissimo episodio della storia repubblicana, quello dell’Italicus. Ecco, in primis, troverei un altro nome. Poi non mi piacciono molte cose del testo.

A cosa si riferisce in particolare?

Sono molto critico perché è un risultato lontano dalle proposte in cui credo, ma anche da una legge elettorale semplice che permetta ai cittadini di intervenire direttamente nella scelta dei parlamentari eletti. Quindi le mie obiezioni sono tantissime. Berlusconi sarà contento, io un po’ meno…

 

A Cuperlo, per rimanere in tema, non piace la soglia troppo bassa per ottenere il premio (fissata al 35%), quella di sbarramento – ritenuta troppo alta all’8% – e le liste che, seppur corte, rimangono bloccate.

La mia critica è stata diversa. A me non piace innanzitutto l’esistenza di questi collegi grandi; avrei preferito un modello uninominale con un confronto tra i candidati delle diverse forze politiche molto più netto e comprensibile agli elettori. Così mi pare tutto molto incerto. E anche la ripartizione dei seggi su base nazionale fa sì che ci siano dei collegi più apparenti che reali nella distribuzione dei seggi.

 

La presidenza del Partito Democratico è vacante. Se gliela proponessero?

No, assolutamente no, per lo stesso motivo per cui sconsigliavo che l’assumesse uno dei candidati alla segreteria. E siccome io ero uno di quelli, la regola vale soprattutto per me. Poi ci tengo alla mia incolumità e non vorrei dovermi dimettere tra un mese…

 

(Fabio Franchini)