L’affondo di Letta è arrivato a Otto e Mezzo, ospite di Lilli Gruber. Il premier, a sorpresa, è tornato a parlare di conflitto d’interessi e della volontà di regolare, dopo tanto (troppo) tempo una questione che, come leitmotiv del centro-sinistra (salvo però non legiferare mai in merito), ha dominato i vent’anni di berlusconismo. Queste le parole del presidente del Consiglio: “È ora di affrontare le regole per il conflitto di interessi, gli italiani le aspettano da tanti tempo e ora l’affronteremo. Sarà uno dei punti su cui discuteremo nelle prossime settimane. Vorrei entrare nel vivo di questioni legate al trionfo della legalità, ci sono troppi conflitti nel paese”. Tentativo, forse, di mettere i bastoni tra le ruote all’accoppiata Renzi-Berlusconi? Lo abbiamo chiesto a Luciano Violante (Pd), giurista, già presidente della Camera e “saggio” di Giorgio Napolitano.
Perché il premier Letta ha rispolverato la questione del conflitto d’interessi proprio ora?
Innanzitutto perché finché c’era Berlusconi era impossibile procedere. Adesso invece è venuta meno questa condizione e quindi si può provvedere in merito. Poi, è un tema ispirato alla tutela della concorrenza e sul quale l’elettorato di centrosinistra è particolarmente sensibile.
Riproporre un tema del genere non è forse un tentativo implicito di indebolire l’asse Renzi-Berlusconi?
Per mia abitudine non ho mai ragionato sulle supposizioni: preferisco ragionare sui fatti. Inoltre Silvio Berlusconi non è in Parlamento né al Governo e quindi la legge non lo riguarderebbe.
Ha parlato dell’elettorato di sinistra, non è che Letta, criticato spesso per il suo “centrismo”, ha voluto dire qualcosa di sinistra?
Io credo che se questo esecutivo riesce a fare la riforma elettorale, la riforma costituzionale e il conflitto d’interessi è veramente un governo del cambiamento, in positivo. In ogni caso la legge sul conflitto di interessi ha natura liberale ed è propria del capitalismo pulito.
Quali conseguenze può però innestare una proposta del genere?
Io credo che ci siano le condizioni per fare una buona legge e di farla anche – spero – con il concorso delle opposizioni. Io stesso fui il redattore di una proposta seria e ampiamente discussa in Parlamento sul conflitto d’interessi nel 2007. Poi però ci fu lo scioglimento delle Camere e non riuscimmo ad approvarla.
Ma è una legge urgente e pertinente rispetto alla situazione attuale? Insomma, è il momento adatto?
Le relazioni che l’Antitrust, ormai da anni, presenta ogni sei mesi in Parlamento sono tutte molto critiche nei confronti dell’applicazione della legge vigente. Bisogna partire proprio da queste critiche per correggerla. D’altra parte leggi così complesse, per loro stessa natura, devono passare attraverso un frequente lavoro di manutenzione. La legge Frattini attualmente in vigore (legge del 20 luglio 2004, n. 215, ndr) è ritenuta ininfluente ed irrilevante da tutti coloro che si occupano del settore: deve essere corretta.
Non c’è però il rischio che discutere di un argomento spinoso come quello del conflitto d’interessi possa frenare le riforme della road map tracciata da Renzi e abbracciata, per forza di cose, da Letta?
Che ci possano essere obiezioni è possibile, lo si vedrà strada facendo. D’altra parte il presidente del Consiglio ha espresso un’opinione che sarà portata in Consiglio dei ministri per le valutazioni. Credo che se si agisce con equilibrio, correttezza e prudenza, sia possibile fare una buona riforma anche in questo campo. Tutte le democrazie hanno una legge sul conflitto d’interessi…
Entrando nel merito, cosa dovrebbe dire una legge sul conflitto d’interessi oggi in Italia? Berlusconi ora è fuori dal Parlamento, ma c’è stato per venti anni. In futuro, magari si riproporranno le stesse dinamiche…
Attenzione, il punto non mi sembra più essere Berlusconi. Proprio perché oggi legiferiamo al buio, senza sapere a chi si applicherà, si potrebbe fare una buona legge.
Quindi?
Una buona legge dovrebbe riguardare anche le giunte regionali e comunali. Faccio un esempio: quando il presidente della regione Sardegna era Soru c’era lo stesso problema, così come per Genovese, sindaco di Messina. Soru risolse la questione facendo approvare, con la consulenza del professor Uckmar, uno dei maggiori specialisti in Italia, una buona legge regionale ed applicandola a sé stesso. Mario Draghi prima di andare alla Banca Europea costituì un blind trust per i suoi investimenti finanziari. È quindi una sciocchezza pensare che il tutto sia legato a Berlusconi e alla carica di presidente del Consiglio.
Ma perché serve questa legge?
Una volta i dirigenti politici venivano direttamente dalla politica. Quando invece sono iniziati ad arrivare dal mercato si è posto il problema. Questo è il punto centrale. Non a caso la prima legge seria in materia è stata fatta negli Stati Uniti, dove è abitudine che ci sia un interscambio tra il mondo del mercato e quello della politica.
Quali paletti mettere dunque?
Innanzitutto delineare chiaramente le soglie entro le quali si applicherebbe. Non può riguardare sole le cariche nazionali, ma anche quelle regionali e comunali. Inoltre, le soluzioni più serie sono quelle che ruotano attorno a blind trust, come ha fatto appunto Mario Draghi. La gestione della parte di patrimonio incompatibile con la funzione è gestito da un terzo, scelto da un’Autorità indipendente, ad esempio l’Antitrust. Ma vorrei avvertire che una buona legge antitrust è molto complessa.
(Fabio Franchini)