Nella convulsione mediatica seguita alla pubblicazione del patto di riforma costituzionale ed elettorale siglato fra Renzi e Berlusconi, almeno due sono le dichiarazioni che, fra le tantissime circolate, fanno trasecolare per l’insita faciloneria o – peggio ancora – per la sprezzante dissimulazione. 

La prima dichiarazione ha valenza istituzionale, giacché è stata formulata da Francesco Paolo Sisto (Forza Italia), presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera e relatore della legge elettorale. A proposito della contrarietà manifestata da tante forze politiche sul modello elettorale in discussione, proprio su ilsussidiario.net egli ha seccamente risposto: “Ovviamente alcune misure possono piacere e non piacere, ma francamente resto dell’idea che le migliori transazioni sono quelle che scontentano un po’ tutti, ed è proprio questo il caso”.



E così, da esperto avvocato qual è, il presidente Sisto ha applicato sul piano politico-parlamentare categorie e metodologie proprie della prassi forense. Il guaio è che c’è una bella differenza fra la negoziazione stragiudiziale e quella legislativa o costituzionale, essendo divergente tanto l’oggetto, quanto la finalità perseguita. Negli accordi stragiudiziali le parti addivengono a un accordo riguardante i propri interessi personali e patrimoniali, al fine di evitare un contenzioso ritenuto dispendioso, estenuante e incerto nell’esito; il sacrificio parziale di ciascuna parte, insomma, è funzionale al vantaggio economico comunque conseguito. Negli accordi del secondo tipo, al contrario, le parti addivengono ad un accordo riguardante non già gli interessi individuali, bensì i diritti politici della collettività, al fine di assicurare alla generalità dei consociati una futura vita democratica; il sacrificio parziale di ogni parte, di conseguenza, non può essere rimesso all’arbitraria valutazione di ciascuna delle stesse, dovendo piuttosto rispettare i preminenti limiti dettati dalla Costituzione a tutela dell’interesse generale.



È un fatto che il meccanismo elettorale ipotizzato ridurrebbe a tre o, al massimo, a quattro gruppi la rappresenta politica, escludendo – attraverso sbarramenti e premi – la presenza in parlamento del 20% degli elettori che si recheranno alle urne (1 su 5 votanti).

La seconda dichiarazione è tratta proprio dal patto Renzi-Berlusconi. A giustificazione della previsione di collegi elettorali plurinominali e con circoscrizioni a liste bloccate, è previsto quanto segue: “I seggi vengono distribuiti su circoscrizioni molto piccole (da 4 a 5 seggi in palio al massimo), in modo che i nominativi dei candidati possano essere stampati direttamente sulla scheda”. E così il sistema delle liste bloccate e la quantificazione dei seggi territorialmente rimessi (meglio: sottratti) alla libera scelta popolare, sono fatti dipendere da considerazioni che meglio si attagliano al Poligrafico dello Stato! E ciò quasi che il numero dei candidati da stampare sulla singola scheda dipenda dalla grandezza della medesima scheda e non, piuttosto, dal tipo di carattere tipografico impiegato; quasi che, insomma, sia il sistema elettorale a doversi adeguare alle esigenze tipografiche e non viceversa! 



Sconcerta, in definitiva, il carattere surreale delle argomentazioni apportate dai promotori della riforma. Viene in mente la sprezzante risposta di quell’imprenditore edile, che, accusato d’aver costruito un imponente complesso edilizio a ridosso del mare, propose la seguente soluzione: “prolungare il bagnasciuga e spostare il mare più lontano!”.

Ed è proprio così. L’intera riforma è calibrata sull’interesse di due leader, che hanno il pari problema di avere garantite una stretta accondiscendenza partitica e una vasta sequela politica, in modo da governare con la minore opposizione coalizionale e parlamentare possibile. A fare le spese di una tale riduzione costituzionale, sapientemente mascherata da un abile marketing politico, sono la tenuta democratica e la funzionalità del sistema di risulta, quest’ultimo privato della responsabilità politica personale, territoriale e istituzionale. 

Una volta riammesso il meccanismo delle liste bloccate, il singolo parlamentare continuerà a dipendere dalle segreterie di partito e non già dal corpo elettorale; per non dire dell’eventualità che la distribuzione dei seggi all’interno di ogni coalizione premi nominativi territorialmente estranei alle singole circoscrizioni interessate. Gli stessi organi di rappresentanza assumeranno un ruolo servente e non già autonomo rispetto a quello governativo: la Camera dei deputati, occupata da parlamentari di fidata nomina partitica, sarà incapace di una propria autonoma capacità di controllo; il Senato, divenuto espressione delle regioni e delle autonomie locali, avrà un ruolo marginale non solo per la modifica del bicameralismo, ma soprattutto per la riforma delle regioni: queste ultime, private di gran parte delle proprie funzioni, s’interrogheranno sul proprio effettivo ruolo, divenendo soltanto centri di spesa periferici.

A ben vedere, ciò che la riforma censura, prima ancora della responsabilità politico-istituzionale, è lo stesso fattore umano, è il capitale umano: la capacità degli elettori di scegliere secondo coscienza e degli eletti di agire secondo il proprio mandato; è il pluralismo democratico, costituito da una pluralità di livelli di governo politicamente significativi, quasi che la democrazia politica e quella territoriale siano diventate un’inutile ingombro rispetto alle esigenze dei mercati e alle urgenze della spending review

Ecco perché le rassicuranti dichiarazioni sopra riportate appaiono surreali e disarmanti. Eppure, i grandi media nazionali acclamano ai nuovi slogan del patto riformatore, sminuendo l’entità dei relativi limiti e pericoli e orientando l’opinione pubblica verso un tale disegno.

Diviene così ancora più difficile decifrare la vera sostanza dell’accordo. Mentre invece ne sono assai chiare le conseguenze.

Leggi anche

DIETRO LE QUINTE/ Legge elettorale, i calcoli dei partiti sul "nuovo" maggioritarioLEGGE ELETTORALE/ Ecco perché il proporzionale di Conte non fa bene all'ItaliaLEGGE ELETTORALE E REFERENDUM/ Un "distanziamento" politico carico di pericoli