Un election day in primavera che accorpi le elezioni politiche con quelle europee. E’ l’idea lanciata da Silvio Berlusconi sulla sua pagina di Facebook: “Cinque mesi ci dividono dal 25 di maggio, già lì potremo sperimentare il sistema delle sentinelle del voto formate dai Club. Meglio ancora se insieme alle Europee di maggio riuscissimo ad avere anche le Politiche”. Le norme prevedono la possibilità di accorpare il voto per Bruxelles con quello per il rinnovo del Parlamento italiano, anche se le conseguenze politiche potrebbero essere negative sotto diversi punti di vista. Per Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale e uno dei saggi di Napolitano per le riforme istituzionali, “il vero problema è che i partiti politici europei come Ppe e Pse sono delle scatole vuote, e questo fa sempre passare le istanze nazionali in primo piano rispetto a quelle comunitarie”.



Professor Onida, è possibile fare l’election day il giorno delle Europee in abbinamento con le Politiche?

Certamente è possibile, anzi le norme vedono con favore questi accorpamenti. L’art. 7 della legge n. 18 del 1979 sull’elezione dei deputati italiani al Parlamento europeo afferma che, qualora ciò sia possibile, la data del voto deve coincidere con quella fissata per le elezioni nazionali. Più di recente l’art. 7 del decreto legge n. 98 del 2011, dedicato al cosiddetto “election day”, stabilisce che quando nel medesimo anno si svolgono le elezioni del Parlamento europeo, le consultazioni elettorali nazionali si effettuano nella stessa data. Ma questo non vuol certo dire che le elezioni europee possano condizionare il momento dell’eventuale scioglimento anticipato delle Camere. Comunque dal punto di vista giuridico non c’è nessun ostacolo all’accorpamento.



Quale sarebbe il suo significato dal punto di vista politico?

Dal punto di vista politico un abbinamento è inopportuno, perché nelle Europee l’attenzione degli elettori e dell’opinione pubblica dovrebbe essere concentrata sulle politiche delle istituzioni comunitarie. Qualora invece ci fosse una coincidenza con le elezioni politiche le tematiche europee sarebbero di fatto oscurate, venendo in evidenza soltanto il dibattito politico interno. Si perde così quella che dovrebbe essere la caratteristica delle elezioni europee, e cioè l’essere un momento di partecipazione vera dei cittadini alle scelte a livello comunitario. Non penso a una possibile strumentalizzazione del voto da parte delle forze contrarie all’euro. La vera questione è che al centro delle elezioni dovrebbe esserci il dibattito tra le forze politiche sulle modalità attraverso cui proseguire sulla strada dell’integrazione europea. Il Parlamento di Bruxelles dovrebbe avere un ruolo molto significativo da questo punto di vista.



Eppure il cuore pulsante della politica sono ancora i Parlamenti nazionali. Perché?

Perché nella realtà non esistono ancora dei veri partiti europei. Il Partito Popolare Europeo (Ppe) e il Partito Socialista Europeo (Pse) sono dei raggruppamenti organizzativi di diversi partiti nazionali, ma non hanno quei caratteri che dovrebbero essere propri di un partito, e cioè l’essere luoghi di elaborazione e di discussione di un indirizzo politico europeo. Non si capisce per esempio come facciano a convivere nel Ppe la Cdu di Angela Merkel e Forza Italia di Berlusconi. Il Pd italiano non fa parte del Partito Socialista Europeo, anche se nel Parlamento europeo i deputato eletti col Pd sono membri del gruppo Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici insieme ai deputati di partiti aderenti al Pse.

 

La creazione di veri partiti europei è un’utopia o una strada realmente percorribile?

Non la ritengo affatto un’utopia, quanto piuttosto un percorso necessario. In un’Europa sempre più integrata dal punto di vista istituzionale e con una politica dell’Unione che gioca un ruolo sempre più rilevante, il fatto che non esistano veri partiti politici europei è un controsenso. La stessa opinione pubblica dei diversi Paesi dovrebbe integrarsi di più in relazione a questi indirizzi, mentre oggi tendenzialmente la politica è considerata un fatto nazionale. Si accentuano quindi gli aspetti “nazionalistici”, cioè gli indirizzi e gli aspetti che riguardano i singoli Paesi e i loro interessi, e non quelli che riguardano l’intera Europa.

 

(Pietro Vernizzi)