Accordo raggiunto sull’Italicum tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Via libera finale anche da Ncd e Scelta civica. La nuova legge elettorale prevede una soglia d’accesso al premio fissata al 37%, un premio di maggioranza del 15%, un tetto massimo del 55% dei seggi per il partito o la coalizione vincente e una soglia di sbarramento per i partitini fissata al 4,5%. Passa anche la clausola salva-Lega, voluta e ottenuta da Berlusconi. “È una legge fatta apposta per tagliar fuori Beppe Grillo” dice a ilsussidiario.net Mario Mauro, ministro della Difesa ed esponente dei Popolari per l’Italia. Mauro definisce “un disastro” le liste bloccate e annuncia voto contrario al provvedimento.



Ministro Mauro, c’è l’accordo sulla legge elettorale.
Direi meglio: è stato ufficializzato l’accordo tra il Partito democratico e Forza Italia.

Al quale lei è nettamente contrario.
Vale quello che avevano già detto i Popolari per l’Italia: la soglia del 35% era troppo bassa, e averla portata al 37 è una presa in giro degli italiani. Non si può permettere a chi ha il 37% dei consensi di avere tutto il potere possibile. Per avere un sistema equilibrato e rispettoso del paese bisognerebbe partire almeno da una soglia del 40%.



Da dove nasce la sua critica? Dal fatto che temete di rimanere fuori?
No. Nasce da una cultura per la quale la semplificazione della realtà rappresenta, non di rado, una violenza vera e propria. Mettiamo da parte il tema dei piccoli partiti. Il vero vulnus di questa legge, così rigidamente bipolare al punto da sembrare bipartitica, è quello di andare contro un dato di realtà, il fatto che c’è un altro partito in questo paese che ha quasi gli stessi voti di Pd e FI.

E che si chiama Movimento 5 Stelle.
Come è noto io sono fortemente antipopulista, e ancor più fortemente contro il partito di Beppe Grillo, ma è innegabile che questa legge è fatta per far fuori M5S. Dal mio punto di vista, ma credo anche da un punto di vista costituzionale, il compito di una legge elettorale non  è semplicemente quello di stabilire un vincitore.



E quale sarebbe invece?
Assicurare la rappresentanza di ciò che esiste nella società. E lo dico indipendentemente dal tema dei piccoli partiti, che auspico siano sollecitati, là dove hanno convergenze sui valori e sui programmi, a mettersi insieme. Ritengo però profondamente scorretto che una legge elettorale venga concepita da due partiti abituati a fare coalizione allo scopo di eliminare l’unico partito che vuole star da solo.

Matteo Renzi le direbbe che è stato M5S a non volersi sedere al tavolo delle trattative.

Non è un’obiezione seria. Quando si fanno le regole del gioco bisogna pensare a tutti quelli che si vogliono iscrivere al campionato, non a chi viene alla riunione dove si decide come tracciare le linee del campo. È una preoccupazione che dovrebbe valere per tutti i partiti che volessero nascere in futuro, anche fuori dalla cultura di coalizione di centrosinistra e centrodestra.

E dove va a finire il bipolarismo?
Quello che ci siamo sentiti ripetere in tutti questi anni − o si sta da una parte o si sta dall’altra − non è necessariamente vero. Quanti sono quelli che lo vogliono? Lei lo sa? Le parla uno che avrebbe voluto dire no a questa falsa alternativa dando vita a un forte centro.

Il terzo polo è sempre fallito.
La verità è che c’è una realtà, nella vita politica italiana, che ha realizzato questo obiettivo − non quello del centro, ma della terza forza − dandosi un suo specifico programma. Che io non condivido, che reputo anche pericoloso per la vita del paese, ma che non posso far finta che non esista, perché verrei meno al principio più elementare della democrazia.

Cosa farete?
Mi auguro che alcuni meccanismi della nuova legge invoglino le realtà politiche che oggi appaiono residue a dar vita a un centro grande e forte, che sia argine vero al populismo e all’estremismo. Questo intendo costruire.

Si fa presto a dire centro. Tutti coloro che dicono di farne parte lo vedono a modo loro. Lei che cosa intende?
Una realtà alternativa alla sinistra, ma altrettanto determinata a mettere un paletto rigoroso ai poulismi della nostra destra, compreso quello abbracciato in tempi recenti da uno spento e sbiadito Berlusconi.

I suoi interlocutori ideali chi sono? Alfano? Casini?
Tutti. Compresa la stessa Scelta civica. Non può essere il problema di qualche dissapore tattico a bloccarci. Ma occorre avere il coraggio di riconoscere che ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide. E perseguire questo scopo.

Lei dice che l’accordo sull’Italicum chiude la porta in faccia alla realtà. C’è il rischio che quella realtà rientri dalla finestra?
Mi limito a osservare che secondo un sondaggio di Repubblica c’è un 30% di italiani disposto a fare a meno della democrazia. Teniamolo a mente.

Quali ripercussioni avrà questo accordo sul governo Letta?
Penso che un accordo sulla legge elettorale non possa che essere una buona notizia per il governo, stimando che le intenzioni di Renzi siano corrispondenti a ciò che dice, e cioè imprimere un’accelerazione all’azione di governo e non farlo cadere.

Lo si fa stando fuori e punzecchiando Letta o, come chiede Alfano, mettendo nuovi ministri renziani nell’esecutivo?

È un tema che ha la sua validità se non diventa contraddittorio. Nel momento in cui si vuole assumere responsabilità in un nuovo governo, questo governo deve avere un programma ambizioso che abbia il tempo di una legislatura, e non quello dei pochi mesi nei quali realizzare quelle due o tre cose su cui già prima si era d’accordo, anche coloro che da quel governo sono usciti.

Torniamo all’Italicum. Forza Italia ha chiesto e ottenuto il salva-Lega.
Un escamotage per reiterare la propria capacità di fare coalizione. Anche questo appare uno squilibrio nella lettura della realtà: perché si tiene conto di chi ha meno del 4% e non di chi ha il 25%?

Rimangono le liste bloccate.
Un disastro. È disattendere per l’ennesima volta la volontà degli italiani, che chiedono libertà di scelta. Ma lo si fa, guarda caso, solo alle elezioni politiche, perché nel frattempo si vota con la preferenza alle comunali, alle regionali e alle europee. Perché si vuol reiterare il meccanismo per ciu il Parlamento è l’arena in cui si confrontano le segreterie dei partiti e non i partiti e gli interessi legittimi che questi difendono?

Preferenze vuol dire sperpero di denaro pubblico e voto di scambio.
Falso. Basta guardare le statistiche ufficiali per accorgersi che le elezioni fino ad oggi più costose sono state le politiche. In secondo luogo, se la preferenza espone i candidati al rischio del malaffare, figuriamoci se quei cenacoli ristretti che sono le segreterie dei partiti ne sono al sicuro. L’unica cosa che salva dal malaffare è la retta coscienza, non la legge elettorale.

Anche lei ha incontrato Matteo Renzi. Che cosa può dire dell’accordo alla luce di quanto non è stato accolto delle vostre istanze?
Vedo che si è tenuta in conto, anche se non in modo adeguato, la nostra riserva sul tema della soglia atta a rendere veramente partecipata l’elezione del Parlamento. Poi, credo che l’ostracismo del nostro suggerimento sulle preferenze sia stato più che altro dettato dalla volontà di venire a patti con Berlusconi. Spero che di questo gli elettori si ricordino.

Qualcuno ha detto che fatta la legge si va a votare. Queste voci hanno un fondamento?
Io continuo a voler credere che i leader politici dicono davvero quello che pensano. Come avevo motivo di credere a Berlusconi quando rivendicava la volontà di mandare avanti il governo, così credo che non ci sia motivo di dubitare delle assicurazioni di Renzi.

Avete in piano di mettervi d’accordo con altri per far saltare l’accordo?
I nostri numeri non sono tanto rilevanti da poterlo mettere in discussione, data anche l’acquiescenza prestata da Ncd. Questo tuttavia non ci impedisce di ribadire le nostre convinzioni e di criticare l’accordo, votando di conseguenza.

(Federico Ferraù)

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