Dopo quel che si è visto, e sentito, nelle aule parlamentari in questi giorni è un eufemismo dire che la situazione politica e istituzionale è delicata. Si è assistito a un altro passo nel delirio, pericolosissimo, ai limiti della deriva istituzionale. In un parlamento già bloccato di suo da riforme (del bicameralismo perfetto) mai fatte, e forse più ancora da regolamenti parlamentari, che è stato suicida almeno quelli non provvedere ad aggiornare, l’ostruzionismo del M5S al decreto sull’Imu e all’arrivo in aula della legge elettorale è andato oltre la decenza politica, mettendo in campo – dentro le istituzioni – pratiche paraeversive contro le istituzioni. 



Le ragioni di merito di quest’atteggiamento – la ripulsa di un abbinamento al decreto sull’Imu di norme sulle banche non condivise, la contestazione di una legge elettorale attagliata alle esigenze di Renzi e Berlusconi – impallidiscono di fronte ad un’aggressività verso le istituzioni che appare sempre più la reale strategia del Movimento 5 Stelle: nessun reale contributo alla legislazione, alle Camere, ma la scelta deliberata di avvilirle (ulteriormente) dall’interno, per favorirne l’assedio mediatico, e magari di piazza, dall’esterno. Ciliegina sulla torta il vilipendio al capo dello Stato, e l’assalto al presidente della Camera sulla sua decisione di garantire comunque, bloccando l’ostruzionismo, le prerogative dell’assemblea. 



È inutile negare che questo mix d’irresponsabilità e cinismo potrebbe trovare in un Paese stremato qualcosa di più dell’eversione in rete di parole e di insulti. Se si somma questo fatto all’evidenza di quel che si paventava dopo la decadenza di Berlusconi e l’ascesa alla segreteria di Renzi, che cioè, con Grillo, tutti e tre i leader politici principali – in un momento di estrema debolezza dei partiti, tutti consegnati in un modo o in un altro al leader, e delle istituzioni, appesantite da inconcludenza e sfiducia dei cittadini – sarebbero rimasti fuori dai palazzi della politica, dando plastica evidenza alla perdita di peso politico di quel che vi si decide, si ha il quadro di un sistema politico ormai quasi fuori dai suoi cardini, ai limiti dell’agibilità politica delle istituzioni. 



C’è urgente bisogno di uno schema di rientro, di un exit strategy per dirla nell’inglese in voga in un paese che di anglosassone non ha nulla, da quest’anomalia. Il che chiede a tutti gli attori in gioco capacità di decidere, una buona dose di decisionismo, se si vuole, ma anche altrettanta ponderazione, nel riportare rappresentatività e operatività politica nel sistema. 

Lo scoglio immediato di questa navigazione che non sarà breve è la legge elettorale. Se è una necessità improrogabile farla, se è un’opportunità da non perdere l’ipotesi del doppio turno, per decidere chi governa e chi va all’opposizione, e questo è certamente il punto di forza dell’iniziativa messa in campo da Renzi e Berlusconi, non è meno importante che ciò che uscirà dalle aule parlamentari sia ponderato, fondamentalmente nel senso del venire incontro ai rilievi della Consulta. 

E che si faccia carico, come da sentenza, dei valori costituzionali propri alla rappresentanza politica: il legame tra elettori ed eletti (e non si capisce perché, nelle discussioni di questi giorni, il collegio uninominale non possa risolvere l’antitesi liste bloccate-preferenze) e la proporzionalità e la ragionevolezza delle soglie di accesso alla rappresentanza. 

Ma questo è solo un passo. Il secondo è prevedere una stabilizzazione, anche pro tempore, del quadro politico, riportando nelle istituzioni almeno una quota della leadership politica del maggiore azionista del governo, il Pd, oggi fondamentalmente fuori dal parlamento e da Palazzo Chigi. Detto in chiaro, l’alternativa al voto se davvero lo si vuole evitare è che entrino al governo espressioni dirette di peso dell’attuale segreteria del Pd; in attesa che le prossime elezioni riportino all’interno delle istituzioni quanta più leadership reale possibile, del Pd e di Forza Italia accreditata nelle urne. 

Quando gli italiani sapranno che le decisioni politiche si prendono intra moenia dei palazzi del potere, e non fuori di essi, perché quei palazzi sono ridiventati rappresentativi e sono abitati da leader decisi dalle urne, è probabile che possano rispettarli di più, e che si asciughi l’acqua in cui nuota chi come i grillini le istituzioni non le rispetta neanche dall’interno mentre vi siede, arrivando a dare del “boia” al capo dello Stato. Una cosa che nella vilipesa prima Repubblica, e per buona parte della stessa disgraziata seconda Repubblica, non era neppure pensabile. Oggi qualche ragazzotto beneficato dal collasso della selezione del ceto politico, cui non è estranea la rozzezza con cui è stato brandito il format generazionale, ritiene di poterselo permettere perché “cittadino” impiegato del popolo a Montecitorio.