L’energia vitale con cui Renzi sta marcando il ritmo della vita politica non è frutto solo di baldanza giovanile: dopo tutto non ha nemmeno 40 anni! In realtà risponde più profondamente a ciò che il Paese da tempo chiede alla classe politica italiana. Un no secco a quel politichese che sembra imprigionare il Paese in una morsa che non consente di attuare nessuna riforma, grande o piccola che sia. La gente, e non solo il popolo dei forconi. Dice basta a tatticismi e bizantinismi, che parlano di problemi senza mai accingersi a risolverlo. C’è sempre una proposta migliore o una difficoltà imprevista, un cavillo di cui non è tenuto conto, un vincolo insormontabile, che vanifica gli sforzi fatti da una maggioranza silenziosa e trasversale che in Parlamento vuole far fronte sul serio alle responsabilità che si è assunta con la sua elezione.



Così Matteo Renzi, il 2 gennaio del 2014, forte della responsabilità scaturita dalla vittoria schiacciante riportata sugli sfidanti del suo stesso partito,  ha proposto un patto all’intera classe politica italiana e per riflesso a tutto il Paese. Tre priorità secche: legge elettorale, revisione della Bossi-Fini, unioni civili.



Non sono le priorità che io avrei scelto, dal momento che ritengo che lotta alla disoccupazione, promozione della scuola e un welfare di nuove e più concrete opportunità avrebbero intercettato meglio i bisogni reali del Paese in questa fase ancora così critica. Però riconosco che tutto è da preferire all’immobilismo in cui troppo spesso la politica si avvita su se stessa, rispondendo a logiche diverse da quelle percepite dalle persone. E quindi vale la pena soffermarsi sulle tre sfide lanciate da Matteo Renzi.

Legge elettorale: la scelta è decisamente a favore di un sistema maggioritario, con una opzione forte per la governabilità del Paese e la prospettiva di un’alternanza che non mandi in frantumi la formazione delle coalizioni principali: il ritorno ad un mattarellum modificato, un sistema spagnolo secco o un doppio turno come per i sindaci. Renzi non esprime preferenze per l’una o l’altra alternativa, ma non lascia neppure dubbi sul fatto che vuole rafforzare un sistema bipolare, in cui il centro è solo un oggetto decorativo per battaglie di principio che poco o nulla possono incidere sulle scelte strategiche di chi governa.



Revisione della Bossi-Fini: anche qui ormai non sembra più possibile sottrarsi alle ripetute sollecitazioni che vengono dall’Europa e parlano di responsabilità istituzionali, che vengono dal Papa e parlano di pieno rispetto per la dignità umana, che vengono dal vasto arcipelago dell’associazionismo, soprattutto quello cattolico, e ricordano il valore dell’accoglienza umanitaria, come segno e simbolo di un Paese.

Il problema è quello delle scelte concrete, della tempestività con cui fare chiarezza nei nuovi arrivi per dirottarli verso le migliori soluzioni possibili per loro e per tutti noi: è un problema di casa e di lavoro, di assistenza socio-sanitaria e di risorse. Un problema che nasce nei Paesi di origine, transita per l’Italia e guarda a tutta l’Europa, e va oltre!

Il terzo tema proposto da Renzi, quello delle unioni civili, suscita invece qualche perplessità in più per due ragioni fondamentali. La prima ha un carattere paradossale: le coppie di fatto guardano al sistema dei diritti – talvolta, ma solo talvolta! – anche a quello dei doveri di reciprocità, avendo come modello la famiglia. Proprio quella famiglia di cui parla la nostra Costituzione e che da molte legislature è davvero la cenerentola di tutti, ma proprio di tutti i disegni di legge. L’attuale finanziaria ne trascura i più elementari diritti, scarica su di lei una pressione fiscale che minaccia di schiacciarla, non riconosce in nessun modo il valore e la generosità delle famiglie numerose, se non al momento di calcolare la Tarsu, ignora la fatica usurante di cui si fanno carico le madri con figli disabili o con anziani a carico; mortifica il lavoro professionale femminile, penalizzandone l’indispensabile integrazione con il lavoro familiare; elabora delle tabelle Isee che sembrano pensate apposta per accentuare il disagio familiare.

E infine, proprio in questa legislatura non si è voluto né un ministro, né un sottosegretario con la delega alla famiglia, lasciandone la responsabilità interamente sulle spalle del capo del Governo, le cui fatiche sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare da quella di governare le cosiddette larghe intese. Il vero paradosso sta nel fatto che molte famiglie, regolarmente sposate, con almeno un paio di figli a carico, compresse da una molteplicità di impegni di lavoro, ma anche di cura e di assistenza, vivono la condizione delle coppie di fatto come una condizione di privilegio nel momento in cui debbono iscrivere i figli al nido o alla scuola materna; quando debbono pagare le relative rette e perfino quando concorrono per avere un alloggio. Tutti, ma proprio tutti passano avanti a loro!

Per non parlare della fatica infinita che debbono affrontare  se e quando vogliono adottare un figlio: l’attuale vicenda del Congo mostra quanto sia vecchia e superata la nostra legge sull’adozione e come esiga una veloce revisione sul piano interno e sul piano degli accordi internazionali. Nulla di ciò che riguarda la famiglia riesce a “bucare” lo schermo, a trovare attenzione dei media, a fare notizia in modo concreto ed efficace. 

Ma soprattutto non trova adeguato ascolto a livello parlamentare, dove giace una miriade di disegni di legge, che sembra impossibile riuscire a calendarizzare. Eppure ognuno di loro guarda alla famiglia come ad un soggetto debole da tutelare, una sorta di minoranza che non è affatto protetta; ce ne sono alcuni che guardano alla famiglia come ad una azienda di cui si dovrebbero poter scaricare naturalmente una serie di costi, compreso quello della macchina.

In altri termini, pur comprendendo la necessità di riconoscere alcuni dei diritti individuali più importanti, come quelli che riguardano la casa, gli eventuali alimenti, l’assistenza in ospedale, a tutti i cittadini, non c’è dubbio che assumere il modello famiglia come parametro di riferimento esigerebbe in primo luogo una riflessione seria sulla famiglia, oggi in Italia! Finché non si mette la famiglia al centro dell’attenzione del sistema politico e si rivede tutta la normativa che la riguarda, mettendo bene a fuoco come in un bilancio di diritti-doveri, i doveri siano tutti in capo alla famiglia e i diritti spettino ad altre istituzioni, Stato in primis, non si può onestamente anteporre le unioni civili ai diritti della famiglia,  a meno che questa, per un brutto gioco di parole, non diventi una unione in-civile. Quest’anno tutti i diritti dei minori, comunque e dovunque fossero nati, sono stati posti sullo stesso piano. I bambini si è detto, ed è stato votato all’unanimità, non debbono subire discriminazioni di sorta. Non sono loro a chiedere di venire al mondo, non sono loro a scegliere i genitori, e non debbono soffrire per una sorta di disuguaglianza iniziale. Si è riconosciuto loro il diritto a vedere i nonni, gli zii, i cugini, dando alla parola famiglia tutto il valore che ha nella sua dimensione allargata di affetti e di  aiuto reciproco.

Ed è per questo che a Matteo Renzi, e soprattutto ad Enrico Letta, che ha la delega sulla famiglia, vogliamo ricordare che tutto quello che si fa per la famiglia in analogia ricade positivamente anche sulle unioni di fatto e rende più stabile e significativo anche il loro rapporto; depauperare la famiglia dei suoi diritti fondativi, semplicemente rendendoli inesigibili, preferendole sistematicamente altri tipi di unione nelle circostanze elencate: casa, asilo, ecc…non aiuta né gli uni né gli altri. Si riparta dalla famiglia e Matteo Renzi guardi anche a ciò che è successo recentemente in Francia e in Spagna; il dimenticare la famiglia, il diluirne la forza unitiva e la carica di generosità con cui ci si prende cura gli uni degli altri anche attraverso una genitorialità più ricca e più complicata, non fa bene al paese. Le politiche di welfare sono nate in famiglia e sono ancora a carico delle famiglie, come dimostra la crisi attuale, riconoscere alla famiglia questo suo ruolo sociale prezioso e valorizzarlo adeguatamente è un vero e proprio investimento per l’Italia e per l’Europa. Noi vogliamo ripartire da lì.