Due contendenti e un terzo incomodo, che potrebbe essere arbitro della contesa, oppure, alla fine, rimanerne vittima. La sfida è lanciata da entrambe le parti, e nessuno dei due può permettersi passi indietro, Matteo Renzi contro Angelino Alfano, con Enrico Letta nel ruolo – per ora – di preoccupato osservatore.
A dare fuoco alle polveri è stato il neosegretario del Partito democratico, che vuole marcare con forza la propria salita sul proscenio della politica nazionale. Vuole cambiare la musica, tanto sui tempi, quanto sui contenuti, anche perché sa di avere suscitato tali e tante aspettative, che i suoi elettori non gli perdonerebbero l’inattività. Non accetterebbero l’impaludarsi nella vecchia politica romana.
Quanto a terreni per saggiare le proprie forze Renzi non aveva che l’imbarazzo della scelta. È caduta su alcuni temi su cui il confronto è incagliato da tempo, in primis unioni civili e immigrazione clandestina. Peccato che quegli stessi temi siamo nervi scoperti per il Nuovo centro destra di Alfano e dei suoi. Non che sulla legge elettorale o sull’economia i toni siano stati più concilianti, perché al vicepremier è stato ingiunto, senza troppi giri di parole, di adeguarsi, pena l’essere marginalizzato e costretto a vedere approvate le proposte con i voti di chi ci sta, che stia nella maggioranza, oppure no, poco importa.
Bisognerà vedere se i proclami fatti fra Capodanno e la Befana, quando le Camere sono ancora chiuse per gli ultimi giorni di festa, verranno confermati alla riapertura del Parlamento. Di sicuro il mare della politica di inizio anno appare piuttosto agitato, se osservato dal piano nobile di Palazzo Chigi. Per Letta c’è da preoccuparsi, perché l’impazienza del sindaco di Firenze può diventare davvero letale per il suo governo, e con i suoi collaboratori il premier sta cercando di capire quale siano le reali intenzioni di Renzi. Il timore, nemmeno troppo velato, è che il segretario democratico intenda utilizzare Alfano contro di lui. Far saltare i nervi al vicepremier per ottenere la caduta del governo senza sporcarsi troppo le mani.
Ufficialmente questo scenario viene smentito da tutti, eppure si tratta di smentite che non convincono sino in fondo. Letta avrebbe volentieri evitato le dimissioni di Stefano Fassina, perché rendono pericolosamente vicina la possibilità che si arrivi a un rimpasto. Rito da prima Repubblica, certo, ma tutt’altro che scomparso nella seconda. E il rischio è che, scoperchiato il vaso di Pandora del riassetto della compagine di governo, non si riesca più a richiuderlo.
Alfano e i suoi sono già scesi in trincea. Sanno di essere sovra rappresentati dentro l’esecutivo, con cinque ministri, quattro dei quali con portafoglio (Interni, Infrastrutture, Agricoltura e Salute). Ma più che perdere una o due poltrone temono di perdere la faccia, perché sui valori non si può recedere. Si perderebbe credibilità tanto di fronte agli elettori, quanto di fronte alle pressioni di Forza Italia, dalle cui fila non si perde occasione per punzecchiare gli ex compagni di partito che sono rimasti nella maggioranza.
Certo, c’è un altro rischio che Nuovo centro destra deve evitare, quello di combattere battaglie di retroguardia, ora che anche dal magistero della Chiesa e dalla Conferenza episcopale italiana vengono aperture su temi delicati quali le unioni civili. Ecco perché proprio ad Avvenire Alfano ha spiegato che se c’è da “ritoccare il codice civile per assicurare le garanzie patrimoniali di rapporti affettivi che rispettiamo”, la disponibilità al confronto non mancherà, ma totale indisponibilità su matrimoni gay, e soprattutto precedenza al lavoro e ai provvedimenti per uscire dalla crisi economica.
Probabile che alla fine dovrà essere Letta ad assumersi l’onere di trovare un punto di caduta che non scontenti troppo nessuno. Volente o nolente soltanto lui può essere il mediatore di una situazione che altrimenti potrebbe sfuggire di mano ai protagonisti, precipitando il paese verso le urne a maggio, in abbinata con le elezioni europee, come chiedono Berlusconi e Grillo. Da quella mediazione, in fondo, lui ha tutto da guadagnare, perché solo così potrà dare al suo governo lo slancio necessario per attraversare in maniera proficua tutto il 2014, compreso il semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea, la mission (quasi) impossibile che gli è stata affidata da Giorgio Napolitano.