Piaccia o non piaccia, pare proprio che Matteo Renzi stia facendo quello che fino a ieri molti commentatori e protagonisti del dibattito chiedevano alla politica, ovvero ritrovare il suo ruolo forte che, smarritosi, ha finito per dare troppo spazio ad altri centri di potere. Si legga in questo senso la sudditanza che il Pd, in particolare a gestione Bersani, ha avuto nei confronti della Cgil.



I segnali che questo trend si stia invertendo sono diversi, a cominciare dal fatto che solo in questi giorni, per la prima volta e dopo quasi otto mesi di mandato, il Governo ha incontrato le Parti sociali, dedicando loro un’ora di tempo alle 8 del mattino: nessuno prima di Matteo Renzi aveva mai osato tanto! Susanna Camusso, dopo aver denunciato all’Ue lo stesso Governo per le facilitazioni apportate al contratto a tempo determinato, denuncia ora all’Italia il tentativo di Renzi di emulare Margaret Thatcher, passata alla storia proprio per aver arginato il potere dei Sindacati e le loro conquiste.



Non dimentichiamo poi l’attacco di Ferruccio de Bortoli al giovane Premier: se aveva ragione Indro Montanelli (“Per capire come va l’Italia, bisogna leggere il Corriere della Sera”) è chiaro che qualcosa sta succedendo, anche se a parere di chi scrive ciò che sta succedendo non è la fine di Renzi, ma semmai la fine di chi gli sta lanciando l’attacco finale.

De Bortoli pubblica questo editoriale proprio quando Renzi si trova negli Stati Uniti, prima con Obama e poi ad Auburn Hills dal suo amico Sergio Marchionne, espressione dell’azionista di riferimento di Rcs (la Fiat). Perché è chiaro che i due sono buoni amici… Marchionne, che sa di aver fatto la sua parte, tifa ora apertamente per colui che ne sta seguendo le orme. Anche perché, dopo aver incassato la fiducia del Senato sul Jobs Act, pare proprio che Renzi abbia in mente un colpo di cui il suo amico Sergio sarà fiero: Palazzo Chigi è in pressing sul nuovo management delle società controllate dal Tesoro per avviare una possibile uscita da Confindustria, proprio sulla scia della Fiat di Marchionne. La questione non è nuova, ma di tanto in tanto si ripresenta, anche perché ci sono in gioco oltre 25 milioni di euro all’anno versati come contributi da Enel, Eni, Ferrovie, Finmeccanica e Poste Italiane.



Non è un mistero che i rapporti tra il Premier e Confindustria si siano incrinati quasi subito, quando il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci rifiutò, d’accordo con il presidente Squinzi, di assumere il ruolo di ministro dello Sviluppo economico, andato poi all’ex confindustriale Federica Guidi. I motivi di scontro si sono susseguiti, in ultimo sulla questione del Tfr. Il manager più sensibile alla richiesta di Renzi di lasciare Confindustria sembra sia Mauro Moretti, ad di Finmeccanica. Non è un mistero che nel suo staff sia in corso un ripensamento. Alle Poste guidate da Francesco Caio precisano che il tema non è all’ordine del giorno, ma si ammette che progetti e obiettivi relativi alla partecipazione in Confindustria saranno rivisti. Per quanto riguarda Enel ed Eni la situazione è più complessa: l’Enel fino a maggio scorso è stata guidata dall’ex vicepresidente di Confindustria, Fulvio Conti, mentre l’attuale presidente della holding petrolifera è l’ex leader degli imprenditori Emma Marcegaglia.

Certo è che Renzi è deciso più che mai a colpire le prassi consolidate del consociativismo italiano. Da qui i suoi obiettivi, in particolare Cgil e Confindustria, e da qui la reazione di de Bortoli, in gran parte espressione dell’Italia più salottiera e consociativa, quella certamente non amica di Marchionne ed Elkann, guarda caso tra coloro che ne hanno voluto e ottenuto le dimissioni. Non dimentichiamo la reazione di Della Valle, il quale inizialmente renziano, oggi minaccia addirittura di scendere in politica e dà della “sòla” alla coppia Renzi-Marchionne. Cosa che fa arrabbiare il suo socio in affari, ma guarda un po’, Luca Cordero di Montezemolo che di consociativismo ne sa qualcosa, motivo che lo ha sempre diviso da Marchionne. Montezemolo dopo le sparate di Della Valle teme per la sua nomina alla presidenza di Alitalia. Non dimentichiamo che sta anche chiedendo aiuto al Governo per rinegoziare con le banche il debito di Ntv e per ridefinire i contenuti della libera concorrenza con Trenitalia.

Insomma, il quadro è complesso. Ma, per parafrasare commentatori e soliti noti, “Si stava meglio quando si stava peggio”…

 

In collaborazione con www.think-in.it