Le promesse sono da magnifiche sorti e progressive. Tra Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan una domenica di ordinario ottimismo. Un’occupazione del piccolo schermo sistematica e all’insegna del  “tutto va bene”, e andrà meglio. Vien da chiedersi però se sia tutto oro quel che luccica.

Intendiamoci: fare appello all’orgoglio nazionale, alla capacità italiana di ingegnarsi e sfornare soluzioni innovative e capaci di stupire non è reato. Ma prima di Renzi promesse simili le ha fatte un altro teletribuno d’eccezione, Silvio Berlusconi. E molte di quelle promesse si sono rivelate illusorie, quando non fasulle.



E allora cosa c’è dietro alle assicurazioni che il bonus degli 80 euro sarà esteso alle neo mamme e che ci saranno 800mila nuovi posti di lavoro grazie alla manovra economica? C’è un’aria da “o la va o la spacca”. Nei giorni bollenti della stesura della legge di stabilità fra i più stretti collaboratori del premier a Palazzo Chigi si è sparsa la consapevolezza di giocarsi tutto nella sfida d’autunno. Fare ripartire il paese con una spallata sul filo del rasoio della procedura d’infrazione dell’Unione Europea, oppure fallire. Su qualche retroscena dei maggiori quotidiani è uscita virgolettata una frase emblematica, “Dopo di me la trojka”. 



Subito dopo il varo in Consiglio dei ministri è partita l’offensiva mediatica per trasmettere quell’ottimismo senza il quale la spericolata operazione per fare ripartire l’Italia non ha prospettive di successo. Una benedizione in questo senso è stato il sostegno esplicito di Giorgio Napolitano, che non ha alcuna ragione per mettersi di traverso. Anzi, ha bisogno di stabilità per potere essere libero di valutare se continuare o meno nel suo mandato al termine del semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea. 

Proprio l’Europa è la maggiore incognita sul cammino di Renzi e della sua legge di stabilità. Dal momento che sarà la Commissione europea uscente a valutare la legge di bilancio italiana, il rischio di una bocciatura non si può escludere del tutto. L’inflessibile commissario Katainen non ha mai fatto sconti al nostro paese, meglio sarebbe stato se il dossier fosse planato sulla scrivania dell’assai più malleabile Moscovici, che però subentrerà all’uomo del rigore venuto da nord troppo tardi, a novembre.



La diplomazia italiana è al lavoro per scongiurare il no di Bruxelles, Renzi e Padoan si dicono certi della promozione, il buon esito del vertice Asem di Milano e il ruolo di presidenza di turno del nostro paese sono elementi che potrebbero pesare. Anche perché se si boccia l’Italia, per la Francia a quel punto le misure dovrebbero essere ancora più drastiche vista la programmatica volontà di non rispettare i parametri europei sul debito già espressa dal governo di Parigi. 

La determinazione da “o la va o la spacca” è quella che Renzi metterà anche sul piano interno, nei confronti delle Regioni che lamentano i tagli, e delle opposizioni che lo attaccano. “O facciamo uno sforzo tutti insieme, o non c’è futuro”, ha detto il premier nel salotto di Barbara D’Urso. E l’accento era sulla seconda parte della frase, non  a caso. 

Dalla sua Renzi ha l’impopolarità delle regioni, viste come centri moltiplicatori della spesa. E anche i sindacati rischiano di essere visti come un freno alla voglia di cambiare l’Italia. Renzi non si farà certo riguardo, e userà questa sottile arma propagandistica sino in fondo. Susanna Camusso è avvisata: o riesce a cambiare la sua comunicazione, oppure è destinata inevitabilmente a uscire sconfitta dal braccio di ferro con il presidente del Consiglio. E non sarà facile per lei spiegare dove siano le insidie e gli errori della manovra targata Renzi-Padoan.

In parlamento non sembra aria che si possa per davvero coagulare un fronte antirenziano serio. Anzi, il rischio maggiore viene dall’interno della maggioranza piuttosto che dall’esterno. A Renzi possono creare più grattacapi gli ex sindacalisti che militano nelle fila della minoranza Pd (Epifani o Damiano, tanto per fare due nomi), piuttosto che Berlusconi, Grillo o Salvini. Va comunque registrato che l’ex Cavaliere ha alzato i toni dello scontro con il governo, quantomeno in chiave anti Alfano: aumentare la pressione su Ncd per provocare una manciata di ritorni a casa e proporsi a Renzi come interlocutore al di là delle riforme costituzionali e della legge elettorale.

Questi problemi, però, torneranno di attualità dopo la sessione di bilancio, e molto dipenderà dall’esito di questa battaglia parlamentare. Quella in cui intorno al testo della legge di stabilità Matteo Renzi si gioca una rilevante fetta del suo futuro politico.