“Non condivido affatto l’idea di un Partito democratico basato esclusivamente sul rapporto diretto tra il vertice e gli elettori. Il radicamento territoriale e gli iscritti sono fondamentali, e non un peso superfluo come vorrebbe qualcuno”. Ad affermarlo è Sergio Cofferati, europarlamentare del Pd, a proposito del dibattito tra Renzi e la sinistra del partito. L’ex segretario della Cgil esclude inoltre che la manifestazione organizzata per domani, sabato 25 ottobre, possa ripetere quanto avvenne il 23 marzo 2002, quando lo stesso Cofferati (pochi giorni dopo l’attentato delle Br a Marco Biagi) portò al Circo Massimo di Roma un milione di persone: “Non c’è paragone con il 2002, sono due cose diverse. Il merito che crea la manifestazione è lo stesso, ma il quadro politico e le dinamiche in atto sono differenti”.



Cuperlo ha detto a Renzi: “Se tu costruisci e rafforzi un partito parallelo, scegli un particolare modello di partito che si porterà appresso gli altri vagoni e noi non andremo verso un partito-comunità ma verso una confederazione”…

Quella di Cuperlo è un’osservazione acuta, condivisibile.

Perché?

Per le stesse ragioni che immagino avrà spiegato Cuperlo. Lo ha detto lui. Il modello che viene teorizzato da Renzi non ha molto a che spartire con i partiti della storia della sinistra.



Per Caldarola, anche il Pci di Berlinguer e il Psi di Nenni e Craxi erano partiti personali. Lei che cosa risponderebbe?

Non credo che l’osservazione di Cuperlo sia legata al ruolo che svolge il segretario del partito, ma al fatto che il Pd sia un partito che oramai non ha più un radicamento territoriale, a tal punto che gli iscritti sono considerati superflui. In questo caso si crea un rapporto diretto con il vertice del partito e gli elettori, mentre gli iscritti sono considerati ininfluenti. Il senatore Giorgio Tonini dice che gli iscritti non servono più, e credo che l’opinione di Cuperlo nasca in risposta a questo dato. Invece i partiti che ricordava Caldarola avevano un grande leader, ma anche dei gruppi dirigenti radicati nei loro territori, e soprattutto una presenza capillare di sezioni e iscritti che oggi non c’è più.



Ugo Sposetti ha ricordato che per vincere le elezioni Obama ha preso un palazzo di Chicago e ci ha messo 2mila persone per seguire strada per strada la campagna elettorale. Significa che l’idea di un partito liquido non ha nulla a che fare con il modello americano?

Io non ho mai creduto al partito liquido. Quando lo proponeva Veltroni non ero d’accordo e non ho cambiato idea. Io penso che i partiti abbiano una funzione nella società moderna e che questa funzione possa essere svolta più efficacemente se hanno un radicamento che si basa sulla garanzia della loro presenza. Ritengo che iscritti, sezioni e organismi dirigenti siano insostituibili. Il partito liquido al contrario non si è mai capito bene che cosa sia, anche se evoca un’idea di dissolvimento della rete che dà senso ai partiti.

 

Il fatto che il Pd faccia parte dei socialisti europei è la garanzia di un solido ancoraggio alla tradizione della sinistra?

Non necessariamente. Il Pse non è un partito, bensì la somma di tanti partiti nazionali. I singoli partiti potrebbero essere quindi molto diversi tra loro. C’è un riferimento generico a una storia che non ha però prodotto le stesse forme organizzate in tutti i Paesi.

 

Perché la sinistra del Pd non crea una “Leopolda” alternativa?

Perché pensa che sia più utile il dibattito dentro al partito, e non l’utilizzo di sedi esterne che non sono funzionali a rafforzare il modello di partito che la sinistra interna vorrebbe.

 

La manifestazione di sabato sarà una svolta come la grande manifestazione che lei organizzò nel 2002?

Non c’è paragone con il 2002, sono due cose diverse. Il merito che crea la manifestazione è lo stesso, ma il quadro politico e le dinamiche in atto sono differenti. Nel 2002 la stragrande maggioranza delle persone scese in piazza per contrastare il tentativo del governo di cancellare i loro diritti. Erano però elettori del centrosinistra che si mobilitavano contro il governo di centrodestra. Questa volta non sarà così. Sono sempre persone che vogliono difendere i loro diritti, ma la stragrande maggioranza di loro lo fanno contro il Pd, principale forza politica della maggioranza di governo che loro hanno votato.

 

Pur in un contesto diverso, la piazza può innescare anche oggi dei meccanismi che sfuggono al potere politico?

Io credo che la piazza abbia un valore in sé. Non è mai stato un valore sufficiente a cambiare alla radice orientamenti, comportamenti e decisioni. Però contribuisce molto, soprattutto se accompagnato dall’uso di altri strumenti, a dare una visibilità a una proposta e a rafforzare il consenso.

 

La piazza di sabato può realizzare la saldatura tra sindacati, sinistra Pd e Sel per dare vita a qualcosa di nuovo?

No, perché la valutazione sulla manifestazione è diversa dentro al Pd e a Sel. Il gruppo di parlamentari che sta lasciando Sel per entrare nel Pd, non mi pare che abbia deciso di partecipare alla manifestazione. Gennaro Migliore per esempio ha detto che non ci sarà.

 

(Pietro Vernizzi)