Nonostante limiti, errori e pasticci Matteo Renzi svetta sopra la testa degli avversari e paradossalmente la manifestazione della Cgil lo rafforza, mentre la Leopolda sembra sminuirlo. Infatti più gente c’era in Piazza San Giovanni e meglio era per Palazzo Chigi. In primo luogo sulla scena europea, di fronte ai “censori” di Bruxelles, il premier italiano dimostra di aver fatto già il massimo di una manovra “lacrime e sangue” arrivando allo scontro con il sindacato del proprio partito come avevano fatto Tony Blair e Gerhard Schroeder.
In più, sulla scena nazionale, Renzi ha modo di smentire chi lo accusa di fare solo annunci e provvedimenti simbolici, la Confindustria non può pretendere di più e — soprattutto — il premier può attrarre settori dell’elettorato non di sinistra sia tra gli astensionisti sia anche nel centro-destra.
Da parte sua l’elettorato di sinistra non “antagonista” del Pd difficilmente può essere messo in crisi da una Cgil che — in rottura con Cisl e Uil (i cui dirigenti sono quasi tutti elettori di sinistra) — ha rieditato un’Italia “in bianco e nero”, da anni 70. Lo spot promozionale della manifestazione in cui la Cgil attacca il capo del governo-segretario del Pd come un nuovo Mussolini e lo definisce strumento di Marchionne e di Paperon de’ Paperoni contro i lavoratori italiani può essere condiviso solo da una platea di esaltati, ma estremizza e isola la protesta di piazza.
Tra Susanna Camusso e Angela Merkel il premier italiano può così presentarsi come persona che cerca di fare qualcosa di concreto in modo equilibrato. Ma le criticità permangono.
A Bruxelles Renzi è riuscito destreggiarsi durante la riunione del Consiglio europeo (cioè l’assise dei capi di Stato e di governo) dove i socialisti sono, per un voto, in maggioranza. Con l’appoggio di Cameron si è tentato di trasformare questo istituto in una sorta di Corte di Appello rispetto alla nuova Commissione — la cosiddetta Die Kommission — dove Renzi e i socialisti avevano perso la partita (senza in verità combattere). Tra un debole Barroso in uscita e un prudente Juncker in entrata, la Cancelliera è apparsa meno rigida. Ma l’uso del Consiglio europeo come Corte d’Appello non può ripetersi quando Juncker sarà insediato, dato che alla Merkel i socialisti europei hanno lasciato tutte le leve di potere e di comando dell’Unione con anche il “suo” polacco, Donald Tusk, alla guida dello stesso Consiglio europeo. Per di più non solo Renzi, ma anche gli altri leader di governo socialisti vanno in ordine sparso alla ricerca di un compromesso con “Angie” come dimostra la missione a Berlino del consigliere economico di Renzi, Yoram Gutgeld.
L’aggiustamento dello 0,2 per cento (già messo in conto da Palazzo Chigi) non significa certo che siamo di fronte a una nuova politica economica dell’Unione europea, tanto più che con la Gran Bretagna sempre più in bilico si accentua a Bruxelles il possesso tedesco.
Il famoso pacchetto di investimenti per 300 miliardi che Renzi si vanta di aver “imposto” e il cui utilizzo è a suo dire a portata di mano in realtà è in alto mare. Parlando al Consiglio europeo il 23 ottobre Martin Schulz ancora almanaccava: “Dove trovare i soldi?” e “Dove è possibile utilizzarli in modo utile?”. Il presidente del Parlamento europeo ha quindi annunciato non lo sblocco, ma solo alcune ipotesi di risposta ai due quesiti preliminari da discutere nei prossimi mesi.
In questo quadro la Leopolda non è stato un punto di forza. Mentre a San Giovanni andava in scena una grottesca demonizzazione che suscitava simpatia e consenso per Renzi, a Firenze andava in onda l’Italia molliccia in soccorso del vincitore che recita la solita parte della società civile “acqua e sapone” che rimette in moto “questo Paese” presentando un “uovo di Colombo” dietro l’altro: una sostanziale navigazione a vista dal fiato corto, non in grado di reggere un’altra Leopolda di governo tra un anno senza una concreta svolta dell’Unione Europea e tangibili segni di ripresa dell’economia italiana.
Da qui la necessità per Renzi di sfruttare “il momento magico”, di riportare in primo piano la modifica della legge elettorale per aprire la strada alle elezioni anticipate e, quindi, dell’accordo con Berlusconi per procedere sollecitamente.
Berlusconi infatti si muove con realismo. Non pensa di poter tornare a Palazzo Chigi e il suo obiettivo è quello di non essere emarginato, ma di rimanere “in gioco” e di evitare leggi e misure negative “ad personam”. Il rapporto con Renzi gli ha ridato visibilità e centralità. La preoccupazione di sacrificare contenuti non è rilevante in quanto il vero contenuto — la ragione per cui Forza Italia chiederà il voto — è Berlusconi stesso. Il voto per Forza Italia sarà un voto su Berlusconi: da un lato di condanna di sentenze, colpi di stato e tradimenti subiti e dall’altro di fiducia nell’ex premier come leader carismatico in grado al meglio di affrontare la crisi economica e di muoversi come statista. Il premio di maggioranza alla lista alla Camera non preoccupa il leader di FI che mantiene la speranza di essere determinante al Senato, ancora in vita se si vota nel 2015.
Entrambi, Renzi e Berlusconi, hanno interesse alla consultazione ravvicinata anche perché il tempo potrebbe giocare a favore della Lega di Matteo Salvini, unica visibile opposizione sulla destra, mentre sulla sinistra del Pd può crescere un nuovo e più forte soggetto antagonista apertamente sostenuto dalla Cgil.