Oggi chi è in grado di riempire le piazze? Certamente il Papa. Poi la Cgil e Beppe Grillo. Solo che chi va a sentire Grillo sa di andare ad uno spettacolo dal quale non è più lecito attendersi nulla, tranne la reiterata denuncia di un sistema che fa acqua da tutte le parti. 

E così è accaduto anche domenica sera a Palermo quando Grillo ha dato l’ennesimo spettacolo per tentare l’ultimo gioco di prestigio: sfiduciare un governo regionale già dimissionario. Già, perché da quando il Movimento 5 Stelle ha deciso la mobilitazione generale contro il governo Crocetta a quando essa è stata realizzata, Crocetta è riuscito nell’intento di sciogliere la sua Giunta, con l’impegno di ricostituirla in meno di tre giorni (ogni riferimento ad avvenimenti storici pregressi è puramente casuale). Questa nuova puntata della rappresentazione è andata in scena martedì scorso durante i lavori dell’Assemblea regionale. Nel corso del dibattito, che prevedeva tra l’altro anche la discussione di una serie di mozioni di sfiducia a vari assessori e allo stesso governo Crocetta, il governatore ha fatto recapitare al presidente dell’Ars una lettera di poche righe con la quale comunicava di aver sciolto la giunta di governo con l’impegno di farne un’altra pressoché subito. I due assessori presenti al dibattito, colti di sorpresa, hanno ritenuto di dover abbandonare l’aula, mentre il presidente di turno li invitava cortesemente a rimanere. Si è dovuto far ricorso all’intramontabile manuale di monsignor Della Casa sulle regole del galateo per stabilire come comportarsi in una tale situazione, mai contemplata dal pur ricco manuale parlamentare in dotazione all’Assemblea siciliana.



La posta in gioco è però molto alta e riguarda la stessa sussistenza autonomistica della Sicilia. Vi è un dato tanto incontrovertibile quanto difficile da superare: il buco di oltre 3 miliardi di euro nel bilancio della Regione Siciliana che non si riesce a colmare. Non vi è spending review che tenga, quando le cifre sono così elevate. Vi è in ballo la sorte di circa 100mila famiglie siciliane che vivono di reddito indiretto proveniente dalla Regione, con a capo dei lavoratori a vario tipo definiti precari: quelli che da sempre hanno costituito il consenso a tutti i governi che si sono succeduti e che ora da un qualche governo (questo o il prossimo) dovranno sentirsi dire: “Ci spiace, grazie per quello che avete fatto finora, ma non possiamo più avvalerci delle vostra prestazione lavorativa remunerata”. 



Ed ecco che tornano in ballo Roma e il governo Renzi: quello che finora ha lasciato che in Sicilia le cose andassero alla malora e che ora deve approntare un piano di rientro trentennale per evitare licenziamenti ed eventuali sommosse. Crocetta è andato financo alla manifestazione della Leopolda per mostrare fedeltà al Pd (quello contro il quale si è candidato e senza il quale ha fatto finta di governare fino ad oggi), anche se nella fattispecie oggi è targato Renzi. 

Ha nei fatti accettato un commissariamento soft della Regione che dovrebbe passare per l’ingresso in giunta di un assessore romano inviato dal governo centrale per garantire l’avvio di questa manovra trentennale. Ma ciononostante del nuovo governo neppure l’ombra. 



Ed ecco che Grillo trova uditori compiacenti in grado di gridare “Crocetta a casa”, ma non accade nulla. Crocetta gli risponde: “Beppe Grillo oggi è un barbaro politicante che cerca i voti della mafia per fini di potere, va a braccetto con Dell’Utri e Di Vincenzo, è xenofobo e razzista, insulta le persone anche per le proprie scelte individuali”, ed accade che si riapre la ormai trita diatriba su chi sia il più mafioso del reame; e di questo Crocetta ritiene di avere il copyright. Così il prossimo governo, chiunque ne faccia parte ,deve avere una chiara e indiscussa identità antimafiosa.

Mentre scriviamo giunge notizia dall’Ars che si stiano attentamente studiando tutti i curricula dei deputati per individuare quelli che potrebbero far parte del nuovo governo. L’identikit del deputato modello richiederebbe: giovane età, così da non aver avuto il tempo di stringere la mano neanche ad un ipotetico mafioso; scarsa esperienza, così da non aver frequentato neppure per sbaglio luoghi appestati dal morbo mafioso; poche conoscenze, così da non poter annoverare nelle proprie frequentazioni amicali, professionali o familiari persone colluse con la mafia per almeno tre generazioni.

Per quanto arduo questo compito è relativamente agevole perché la patente di “antimafioso doc” la rilascia pur sempre Crocetta, l’unico in grado di garantire la “verginità” senza paura di verifica contraria, anche perché chi avanzasse dubbi si troverebbe immediatamente nell’altra lista, quella dei mafiosi e da quella – si sa – si entra, ma non si esce. Parola di Rosario Crocetta.