In questi giorni hanno attirato la mia attenzione avvenimenti e forme di vita del pensiero molto diversi tra di loro, ma che si son trovati riuniti in ciò che accade nella politica italiana, sempre foriera di trasformazioni di grande interesse generale in questi ultimi dieci anni.
In Francia ha suscitato grande interesse la presa di posizione del Governo, “che depositerà un emendamento alla legge di stabilità 2015, riconoscendo il carattere discriminatorio e abusivo” dei licenziamenti che colpirono tra il 1948 e il 1952 i minatori in sciopero del Pas de Calais. “Repressi con le armi, licenziati, espulsi”, migliaia di operai persero il lavoro e furono costretti a emigrare altrove con le loro famiglie e i loro debiti per la discriminazione che li colpì e li perseguitò per anni. Oggi la Francia li onora.
Erano lavoratori che il finanziere Serra oggi chiamerebbe garantiti e con lui la Serracchiani e altri vociferanti personaggi politici che si riuniscono alla Leopolda. Il finanziere evoca anche l’eliminazione dello sciopero nei pubblici servizi, ma non sa che cosa dice, come giustamente hanno ricordato altri protagonisti a quella manifestazione politica. E quel Serra, come tanti altri sostenitori di molti leader politici, appartiene – ecco la seconda riflessione – a quella nuova classe dominante plutocratica che Joel Kotkin nel suo ultimo bel libro agile e svelto, ma non banale, identifica come i sostenitori della sinistra nordamericana, gli obamaniani per eccellenza, ossia gli uomini e le donne dell’alta finanza e dell’high-tech come della green economy; donne e uomini che con stock options confezionate a loro misura guadagnano valanghe di dollari e si dedicano a un filantropismo non cieco, non nascosto com’era quello dei Vanderbilt o dei Rockefeller, ma ben propagandato e pubblicizzato per far sì che la carità sia sempre più pelosa e sempre meno vicina alla giustizia e quindi sempre meno commutativa, come ci insegnava il dimenticato Tommaso d’Aquino – Principe della Romana Cattolica Apostolica Chiesa, prima che filosofo.
A questo pensavo mentre in Tv vedevo sfilare il grande, immenso corteo della Cgil pochi giorni orsono, che ben esemplificava il disagio, la sofferenza, la disperazione dei poveri, dei mai garantiti (perché mai il salario garantisce) e lo confrontavo con il pubblico della Leopolda – bei ragazzi e mature signore, bei vestiti, sfoggio di eleganza e glamour. E mi dicevo: “Com’è trasformata la politica! L’inversione della rappresentanza è compiuta: i nuovi ricchi votano e militano a sinistra, mentre i vecchi e nuovi poveri sono sballottati tra il delirio leghista che disperde una buona politica alleandosi con i neonazisti e non capisce nulla di Marine Le Pen, che aumenta voti e popolarità assomigliando sempre più a Renzi piuttosto che a Casa Pound”.
Ma è un discorso troppo difficile. La politica è mutata non perché sia granché mutata la stratificazione sociale: essa è più o meno sempre la stessa; è profondamente mutata – direbbe il vecchio e sempre insuperabile Runciman – la classificazione dei modelli di riferimento. I poveri e gli operai salariati non riescono a uscire dalle gabbie ideologiche che rischiano di cacciarli nella marginalità del sindacato di classe della Cgil e solo una minoranza di essi, ancora, oggi raggiunge il mare libero e impegnativo del sindacato associativo: quello della Cisl che invera il messaggio di Giulio Pastore e di Mario Romani e di Vincenzo Saba e quindi trasforma il lavoro salariato non in ghetto ma in speranza, fondando solo sul contratto e non sulla legge l’emancipazione morale e sociale.
Il popolo esiste e cammina per le sue strade. Ai margini di esse bandiere bianche o rosse o perfino nere. Ma sempre popolo rimane e sempre forza di trasformazione morale prima che politica il popolo è e sarà, trasformazioni o non trasformazioni, green o meno green economy, tech o non tech.
Renzi fa una politica economica fondamentalmente giusta con degli alleati intellettuali sbagliati. Colpa dei settarismi della Cgil e di una sinistra ex comunista che di comunista non ha neppure più il ricordo, ma solo la terribile presenza di una cultura radical chic (Augusto Del Noce docet). Renzi deve ascoltarlo il popolo, e senza ascoltare i sindacati il popolo non lo si ascolta: lo si immagina e lo si tradisce, come già ci insegnava l’insuperabile Marx de Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte. Ma è difficile chiedere ai vari Serra di leggere… figuratevi di leggere Marx! A Renzi tuttavia chiederlo si deve. Forse avremmo delle sorprese…