La legge di stabilità ha ricevuto il placet di Bruxelles, dopo uno scambio di lettere un po’ rumoroso. L’ipotesi di una riforma del mercato del lavoro ha suscitato un interesse positivo dei partner europei e delle agenzie di rating. L’accordo di partenariato tra l’Italia e la Commissione (quello che consente di usare i soldi dei fondi strutturali per il 2014-2020), dopo un via vai tra Roma e Bruxelles durato circa un anno, sembra che si sia concluso e i decreti legge di settembre (la riforma della pubblica amministrazione e lo “sblocca Italia”) sembrano andare nella direzione giusta. Tutto sommato, adesso, Renzi può stare più tranquillo: il prestigio italiano in Europa è cresciuto.



Ad onore del vero, ha perso del tempo prezioso tra febbraio e agosto, con una riforma costituzionale tanto poco necessaria quanto poco chiara, ma alla fine – grazie anche al consiglio di Draghi – sembra avere imboccato la via delle riforme; o, quanto meno, ha individuato i problemi reali e mette giustamente fretta.



Resta da vedere se le risposte approntate siano poi le più giuste. Sulla pubblica amministrazione il coraggio di riformare decisamente lo Stato non si è visto e molte timide proposte come quella sul pensionamento dei professori universitari, che avrebbe migliorato la condizione di molti giovani ricercatori, è stata ritirata; nel decreto sblocca Italia vi sono molte concessioni ai petrolieri che possono portare alla rovina l’ambiente e il paesaggio del Paese, speriamo, perciò, che il Parlamento rimedi in sede di conversione. Sul mercato del lavoro, pur avendo piegato i sindacati non ha convinto del tutto i lavoratori, soprattutto nella questione del Tfr. La stessa legge di stabilità qualche incertezza la conserva.



In definitiva, le condizioni generali delle istituzioni e della Repubblica sono migliorate e apprezzate a livello europeo; è un merito che consente al presidente della Repubblica di mantenere adesso un ruolo meno attivo e limitato alla salvaguardia delle garanzie, come si conviene ad un presidente di una Repubblica parlamentare, anche se si può essere certi che è sempre lui il maggiore garante del Paese verso l’Europa, gli alleati e verso i mercati.

Che cosa manca ancora per essere soddisfatti della situazione? Certamente il segno positivo davanti all’indice del nostro Pil; ma è probabile che questo possa arrivare nella primavera prossima. Sicuramente l’incisività dei provvedimenti adottati può essere migliorata; ma per questo aspetto basta che i membri del governo e lo stesso presidente del Consiglio studino un po’ di più (in fondo sono tutti così giovani, che un po’ di studio – pro futuro – non guasta) e ci si potrà riuscire. In realtà, mancano due aspetti non secondari.

Il primo è una proposta strategica per l’Italia studiata sui dati reali che possa affrontare la questione meridionale e, contemporaneamente, la questione settentrionale. A questa sono interessati il mondo giovanile, l’imprenditoria e il sistema della ricerca e dell’innovazione.  

Il secondo aspetto riguarda, invece, una proposta italiana per l’Europa. Questo è tanto importante quanto il primo. Come ben vediamo, la crisi ha portato l’Unione europea, in un certo senso, al “capolinea”. I limiti storici del processo d’integrazione politica e la crisi economico-finanziaria hanno messo le istituzioni europee in una situazione di mancanza di visione strategica. Occorre che gli Stati membri comincino a pensare come fare ripartire l’Unione, soprattutto dopo l’elezione del Parlamento europeo e la formazione di una nuova Commissione.

Per formulare un progetto europeo, occorre che vi sia una capacità adeguata per competere con le proposte degli altri Stati che puntano alla salvaguardia dei loro interessi. Compito del governo italiano a breve è, perciò, riuscire a formulare proposte innovative entro il quadro europeo e, in questo caso, il binomio presidente della Repubblica, presidente del Consiglio potrebbe risultare ancora una volta utile per il nostro paese. Ovviamente, non basta una chiarezza sugli interessi nazionali dell’Italia e la capacità di proporli in sede europea. Le proposte di ogni governo camminano attraverso l’amministrazione e qui, allora, si profila un compito particolarmente gravoso per Renzi: quello di far fare un salto di qualità alla preparazione dell’amministrazione italiana. Questa potrebbe essere la classica buccia di banana di una politica che, in un modo o nell’altro, ha smosso le acque, ma che rischia la classica scivolata.