“L’unica cosa certa è che Renzi non è di sinistra. L’avversione che nutre nei suoi confronti un personaggio come Eugenio Scalfari, la cerniera tra la sinistra di Berlinguer e quella attuale, lo documenta con certezza. Il piglio decisionista del premier del resto è sicuramente di destra, anche se d’altra parte potrebbe essere accostato alle politiche di Blair e Craxi”. Lo spiega Marcello Veneziani, editorialista de Il Giornale. Pippo Civati, intervenendo su Tgcom24, ha attaccato: “Io ho fatto le primarie artigianali, non avevo dietro nessuno, tranne il gruppo di ragazze e ragazzi che mi hanno aiutato. Renzi ha affrontato molto male la discussione sull’articolo 18: vuole essere la nuova sinistra, ma fa la destra di dieci anni fa”.
Veneziani, Renzi è di sinistra o di destra?
Parlare di un segretario del Pd di destra è sicuramente l’accezione più facile da attribuirgli e in parte è anche vero. Per altri versi si può dire che Renzi sta ripetendo l’esperimento di Craxi, portando il decisionismo nell’ambito della sinistra italiana. Proprio come il leader socialista negli anni 80 sulla scala mobile, Renzi sta affrontando i sindacati. Al nostro premier va riconosciuto il fatto di riuscire a trarre la sintesi delle più diverse esperienze politiche. Ma anche Blair ha fatto la stessa cosa che sta facendo Renzi, cioè ha messo a frutto la lezione della Thatcher spostandola in chiave laburista.
Nei contenuti, come definirebbe le riforme di Renzi?
Il piglio decisionista con cui vuole rivoltare l’Italia come un calzino è naturalmente di destra. Quella del Senato però è una riforma abortita, che non serve né a dare una dignità maggiore a Montecitorio né a garantire effettivi risparmi per la spesa pubblica.
Da dove nascono le critiche dei sindacati a Renzi?
I sindacati sono attestati su condizioni di pura retroguardia e di difesa dell’esistente. Un sindacato che volesse in qualche modo spiazzare Renzi lo scavalcherebbe proponendo di applicare davvero l’articolo 46 della Costituzione, con la partecipazione agli utili dei dipendenti e la cogestione delle imprese. Sono questi i temi che dovrebbero essere cavalcati dai sindacati per rilanciare il lavoro e farlo con una posizione non di pura difesa dell’esistente, ma di rilancio attraverso il modello economico che peraltro funziona in Germania, e quindi anche in altri Paesi.
Perché giornalisti come Scalfari e de Bortoli attaccano Renzi?
Bisogna distinguere tra Scalfari e de Bortoli. Scalfari sicuramente rappresenta la vecchia anima della sinistra, che in passato ha dato vita all’esaltazione di Berlinguer e a un tipo di linea che non è certo quella di Renzi. De Bortoli d’altra parte ha un suo percorso personale più moderato e centrista, che guarda con particolare attenzione ai temi economici. Con quell’editoriale il direttore del Corriere si è voluto togliere un sassolino dalla scarpa, considerando anche che in aprile scade il suo mandato.
Qual è invece il valore politico delle critiche di Scalfari a Renzi?
Scalfari rappresenta la continuità della sinistra con il passato, che non accetta il decisionismo e la cui visione è stata incarnata in altri tempi da Berlinguer. Scalfari rifiuta il pragmatismo di chi vuole scegliere la strada più rapida e più veloce pensando che si possa trattare anche con quello che per l’ex direttore di Repubblica è il Demonio, cioè Berlusconi, che invece per Renzi è soltanto un avversario. C’è quindi un abisso tra le due visioni, in quanto una è ancorata alla sinistra come l’abbiamo conosciuta nel Novecento, l’altra è una cosa diversa che però è ancora presto per catalogare.
Nel giudicare Renzi, il sindaco di Verona Tosi è stato ancora può duro della sinistra, in quanto ha detto che “i mille giorni sono una panzana”. Che ne pensa?
I primi 200-300 giorni di Renzi non sono stati molto fattivi. Vista anche la fragilità della sua maggioranza, se restasse privo di una sponda come quella di Berlusconi, non può andare da nessuna parte. Quanto dice Tosi quindi forse ha qualche fondatezza.
(Pietro Vernizzi)