La scelta del governo Renzi di porre la fiducia sulla riforma del lavoro manda in fibrillazione un Pd già in difficoltà per il crollo vertiginoso del numero di iscritti. Il partito del segretario Renzi è fermo a 100mila tessere in tutta Italia, mentre nel 2013 erano 539.354. Un dato che si spiega in parte con il fatto che l’ultimo Congresso, momento privilegiato per i tesseramenti, si è tenuto appunto un anno fa. Anche se evidentemente il 40,8% alle Europee non è l’unico parametro per valutare la tenuta del Pd di Renzi. Ne abbiamo parlato con Achille Occhetto, fondatore e primo segretario del Pds.
Il Pd è un partito in profondo cambiamento. Verso quale direzione sta andando?
Sono sempre stato convinto del fatto che il cambiamento fosse necessario, tanto è vero che sono stato il padre della svolta della Bolognina che ha aperto la più grande svolta nella sinistra e nei partiti italiani. E’ un cambiamento che è stato epocale, e che aveva come obiettivo quello di uscire dalle macerie e dalla crisi profonda del comunismo, con un nuovo partito della sinistra che facesse parte della famiglia democratica ed europea.
E’ ciò che è avvenuto in realtà?
No. A un certo punto al partito che avevo fondato, il Pds, prima hanno tolto la “pi”, poi l’hanno rimessa per eliminare la “esse”. Per togliere la “esse” di sinistra evidentemente c’è un qualche motivo, e io credo che i dirigenti del Pd avrebbero dovuto spiegare il motivo che li ha spinti a farlo. Si è così sviluppata una linea moderata, e non di nuova sinistra, che io non condivido.
Renzi è un segretario di sinistra che fa una politica di destra?
Questa è una definizione molto generale. Molte delle cose che fa Renzi adesso sono iniziate con i dirigenti del Pd che lo hanno preceduto. L’attacco all’articolo 18 è iniziato con l’attacco a Cofferati, che per rispondere portò in piazza tre milioni di persone. Non attribuirei quindi tutta e soltanto a Renzi la deriva moderata del Pd.
In un anno si sono persi 400mila iscritti. Per quale motivo?
La cosa mi stupisce fino a un certo punto. Si è passati da una centralità del partito, e quindi degli strumenti interni al partito, per discutere e fare avanzare una linea politica, per dibatterla anche attraverso la partecipazione, a un’idea della politica fondata essenzialmente sui rappresentanti nei Comuni, nel Parlamento e al governo, cioè nelle istituzioni. Si sono scelte le primarie come fondamentale, e quasi unica forma di partecipazione. Le primarie sono un buono strumento, ma se lasciate da sole finiscono per mettere in secondo piano la funzione della partecipazione e dei partiti.
Lei che cosa ne pensa dell’altra anima del Pd, rappresentata da Cuperlo, Bersani e Civati?
Il Pd è un partito irrisolto, che ha tre anime: una componente vetero-pachidermica e molto legata agli interessi dell’apparato, cioè “la Ditta”; nuove forze di giovani che credono effettivamente di poter operare a sinistra; degli innovatori senza principi. Mettere insieme queste tre cose è estremamente difficile. A sinistra quindi vedo soltanto Civati, non la vecchia nomenklatura legata ai vecchi dirigenti del Pd.
Ritiene che Civati dovrebbe fondare un nuovo partito?
Se fossi in Civati, per il momento starei tranquillo rispetto al creare nuovi partiti. In questo momento in Italia c’è il problema primario di creare nuove idee e nuova partecipazione. I partiti vengono dopo, sono l’intelaiatura di processi storici e politici di fondo. Bisogna creare dei fatti, e per esempio il patto degli Apostoli tra Vendola e Civati è un fatto interessante che io guardo con favore.
(Pietro Vernizzi)