“La svolta a destra dell’esecutivo Renzi sul lavoro è una manovra che oltre a essere profondamente iniqua, aggrava la condizione economica del Paese, la disoccupazione e il debito pubblico”. Lo afferma Stefano Fassina, deputato del Pd e direttore scientifico di Nens. Ieri in Senato è stata bagarre, con il M5S che ha inscenato una colorita protesta mentre la sinistra del Pd ha annunciato il sì alla fiducia chiesta dal ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. Anche se la vera partita inizierà quando il Jobs Act approderà alla Camera.
Il governo ha chiesto al parlamento una delega in bianco, “bloccandola” con il voto di fiducia. Come valuta questa scelta?
Quanto è avvenuto è un problema grave per il Parlamento, perché il Senato è stato forzato dal governo a dare la fiducia a una delega sostanzialmente in bianco su punti fondamentali che riguardano le condizioni di lavoro delle persone. Nel merito non condivido il fatto che nel Jobs Act non vi sono limitazioni ai contratti precari e interinali e non vi sono indicazioni chiare sulle risorse aggiuntive da dedicare agli ammortizzatori sociali per i lavoratori precari. Come pure che nell’interpretazione data dal governo si nega la possibilità per chi è licenziato senza giustificato motivo di essere reintegrato al lavoro.
Che cosa ne pensa di quanto è avvenuto ieri in aula?
Dal momento che si tratta di un voto di fiducia, era naturale che il governo avesse la maggioranza, nonostante alcuni senatori non abbiano partecipato al voto. Attraverso il metodo scelto si introduce però una ferita profonda non soltanto nel Parlamento ma anche nel Partito Democratico e negli interessi che vogliamo continuare a rappresentare. E’ un grave errore che dobbiamo assolutamente provare a correggere nel passaggio della delega alla Camera.
Per Civati chi non è d’accordo con il Jobs Act per coerenza doveva votare no. Lei che cosa ne pensa?
Ritengo che vada tenuto in considerazione che un no da parte di tutti coloro che non sono d’accordo vorrebbe dire fare cadere il governo. Ma ciò non toglie che le correzioni vadano fatte e che dobbiamo assolutamente provare a farle alla Camera.
In che modo è possibile lavorare dentro al partito per condurlo a cambiare posizione?
Dobbiamo innanzitutto discutere nel merito, perché in queste settimane non lo abbiamo fatto. Con una virata significativa, il governo ha abbandonato il programma del Partito Democratico e si è sistemato sulla piattaforma di Ncd, di Sacconi, di Ichino, dei burocrati europei e dei liberisti, con una trasformazione profonda rispetto a quello che era il nostro programma e alle parole del presidente del Consiglio di qualche settimana fa, che proponeva il modello tedesco.
La virata di Renzi è condivisa dalla base del partito?
No. Dobbiamo ascoltare gli elettori del Pd che in misura molto significativa sono spaventati, non capiscono e non condividono la virata a destra dell’esecutivo. Una virata che mira a indebolire i lavoratori, a ridurre le garanzie e a porre in atto una svalutazione del lavoro. Una manovra che oltre a essere profondamente iniqua aggrava la condizione economica del Paese, la disoccupazione e il debito pubblico.
Lei il 25 ottobre scenderà in piazza con la Cgil?
Senza modifiche significative alla delega, ritengo che la manifestazione sia condivisibile e quindi ci sarò.
Lei si identifica nelle ragioni della Camusso?
Le posizioni che stiamo portando avanti sono quelle che abbiamo elaborato in questi anni, per contrastare la precarietà e valorizzare il lavoro. Sono le nostre posizioni, prima di quelle del sindacato.
E’ possibile una convergenza tra Cgil e minoranza del Pd?
C’è una valutazione di merito che è condivisa non solo dalla Cgil ma anche dagli altri sindacati. Ricordo che il 18 ottobre ci sarà la mobilitazione della Cisl e l’8 novembre una manifestazione unitaria di tutti i sindacati del pubblico impiego.
(Pietro Vernizzi)