“Se vogliamo dare un giudizio senza cattiveria, ma sereno e obiettivo, Renzi è uno che vive alla giornata. Nessuno sa che cosa sarà domani Renzi, e quando dico domani non intendo in un futuro lontano ma di qui alle prossime 24 ore”. Sono le parole di Rino Formica, ex ministro delle Finanze e del Lavoro, secondo cui “al primo scontro di piazza la baldanza del premier è scomparsa, ed ha ceduto ai sindacati su tutta la linea dicendo che vuole discutere insieme a loro la politica industriale del Paese”. Ma la giornata di ieri, oltre che dal dibattito all’interno del Pd, è stata caratterizzata anche dalla nomina di Paolo Gentiloni come nuovo ministro degli Esteri.
Che cosa ne pensa di Gentiloni alla Farnesina?
Gentiloni è una brava persona ed è già stato ministro. La questione non è stata risolta come intendeva originariamente Renzi, che alla Farnesina voleva un po’ di “fanciulle del suo orto”.
La nomina di Gentiloni è stata imposta da Napolitano?
Napolitano ha rifiutato la rosa dei nomi delle “figlie della giovane Italia” e ha chiesto a Renzi un ministro di esperienza. Non so dire se alla fine il nome di Gentiloni sia stato fatto dal Quirinale o da Palazzo Chigi, ma si tratta di una figura rispetto a cui Renzi si è trovato a non avere nulla da obiettare né sul piano personale né sul piano dell’esperienza.
Napolitano ha cercato di bilanciare un governo troppo “renziano”?
Non credo, il capo dello Stato non poteva entrare nel gioco interno del Pd. In questa nomina vedo semplicemente il fatto che Renzi ha voluto tagliare la strada al suo antagonista fiorentino, Lapo Pistelli, viceministro degli Esteri, che proprio per la sua lunga esperienza era il candidato naturale per succedere alla Mogherini. Pistelli in passato è stato un antagonista di Renzi nell’ambito degli ex democristiani fiorentini, e quindi alla fine la scelta è caduta su Gentiloni.
Come vede in questo momento il Pd?
Per il momento il Pd è un fritto misto. Indubbiamente rappresenta una rottura in tutti i campi con la storia di tutte le sue correnti di provenienza. Che cosa sia oggi il Pd quindi è un problema della sua leadership, mentre gli italiani hanno cose ben più serie di cui occuparsi.
Che cosa ne pensa dello scontro tra Pd e sindacati?
Tutta la baldanza che ha avuto Renzi contro il sindacato sta già rientrando di fronte alla prima scossa di piazza. Il segretario del Pd era partito con l’idea che non si discute delle questioni generali con il sindacato e che quest’ultimo si deve occupare di fare i contratti insieme alle aziende. Nel giro di pochi giorni il premier è già pronto a discutere con il sindacato delle politiche industriali. In questo modo si è già rimangiato tutta quanta la baldanza precedente alla manifestazione della Cgil.
All’interno del Pd di Renzi, quanto è rimasto del riformismo di sinistra di Bettino Craxi?
Sono due cose completamente diverse e che non c’entrano nulla tra loro. Craxi era nel solco della tradizione del socialismo italiano. Anche se non vogliamo essere offensivi nei confronti dell’attuale premier, dicendo che si situa nel solco delle tradizioni semi-autoritarie della politica italiana, sicuramente però dobbiamo constatare che è fuori da ogni solco della tradizione e del pensiero dei cattolici democratici.
Come vede la sfida di rinnovare la politica italiana che sta affrontando Renzi?
Trovo emblematica da questo punto di vista la questione dell’attacco al sindacato, portato avanti da Renzi solo tre giorni fa. Ieri il premier, già impaurito per il primo scontro di piazza, voleva discutere le politiche industriali con Cgil, Cisl e Uil. In questo modo ha riconosciuto che il sindacato è un soggetto che discute di temi politici generali, come è nella storia del sindacalismo italiano.
Renzi si è reso conto di avere sottovalutato la Cgil?
Se vogliamo dare un giudizio senza cattiveria, ma sereno e obiettivo, Renzi è uno che vive alla giornata. Chi vive alla giornata non è un riformatore.
Vive alla giornata perché si trova in una situazione di emergenza?
No, vive alla giornata perché non ha pensiero.
(Pietro Vernizzi)