L’addio di Roberto Saviano all’Italia. “Io parto tra poche ore e spero di stare il più lontano possibile. Non è più dato alle mie forze e alle mie energie di stare in questo Paese in queste condizioni. Diventa anche difficile continuare a fare il proprio mestiere, con il ghigno dei boss che io ormai ho stampato negli occhi e chissà tra quanto me lo toglierò” dicei giornalista, in mattinata ospite di Radio 24. Nel corso della trasmissione 24 Mattina condotta da Alessandro Milan, lo scrittore di Gomorra e Zero Zero Zero ha commentato la sentenza che lo ha visto protagonista come parte lesa. Il processo a carico dei Casalesi Antonio Iovine e Francesco Bidognetti si è concluso con la sola condanna dell’avvocato dei due,  Michele Santonastaso. E i boss? Assolti per non aver commesso il fatto. “Confesso che uno dei dolori più grandi è stato immaginare la soddisfazione di questi due boss. C’è la soddisfazione di aver visto riconosciute le motivazioni delle minacce con l’aggravante mafiosa. Dall’altro lato c’è anche lo stupore di vedere i mandanti Antonio Iovine e Francesco Bidognetti assolti nonostante il documento che il tribunale ha riconosciuto essere una minaccia”. Saviano parla di vittoria a metà circa la sentenza, ma purtroppo il tutto suona come una continua sconfitta dello Stato contro la malavita organizzata: “Renzi mi ha scritto un messaggio privato. Mi aspettavo di più? Mi aspetto di più non dalle persone, ma dalle istituzioni. Maledizione 10 anni di lotta e neanche un commento dei politici”. Roberto ha dunque detto la sua sull’operato dell’esecutivo contro la mafia: “Vedo in questo governo come una distrazione, cioè un impegno antimafia preso ma poi sul piano lavorativo, leggi proposte, accolte a metà, grandi dichiarazioni di principio ma poi sul territorio quando si va in Calabria o quando si va in Campania, non è che ci siano iniziative forti. Il problema è che la lotta a queste organizzazioni non la si può fare pensando che sia uno dei problemi, ma ‘il problema’”. Le parole dello scrittore sono amare e definisce l’Italia come un Paese a cui “non importa nulla” di chi racconta la mafia, “tranne una minoranza virtuosa ed eroica”. 



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