“Quello fatto dal governo sul Jobs Act è un opportuno passo indietro per farne due in avanti, anzi a sinistra”. E’ il commento di Francesco Boccia, deputato del Pd, dopo l’intesa raggiunta nella mattinata di ieri durante la riunione del partito. In pratica si è deciso di non mettere la fiducia sul testo uscito dal Senato ma di riprendere l’ordine del giorno della direzione Pd. Subito Ncd è insorto, con il capogruppo al Senato, Maurizio Sacconi, che ha affermato: “Se il testo è quello descritto dalle agenzie non è accettabile. Ribadisco che è urgente una riunione di maggioranza. Altrimenti si rompe la coalizione”.



Come valuta l’accordo emerso dalla riunione del Pd?

Non ci sarà la fiducia sul testo uscito dal Senato ed è un eccellente passo indietro, grazie alla mediazione del senatore Cesare Damiano. Questo passo indietro è stato fatto per consentire due passi in avanti, o meglio verso sinistra, all’intero impianto del Jobs Act. Quest’ultimo comunque ha ancora un limite che potrebbe essere risolto nella legge di stabilità ed è connesso alle risorse disponibili.



Lei che cosa chiede?

Come è noto uno dei motivi che ci portò a prendere posizione contraria nella direzione del partito è che il Jobs Act comprende una clausola che di fatto fa essere la delega a saldo zero. Ogni euro che esce in realtà deve essere garantito da un euro che entra prima. Questo significa che con le attuali risorse della cassa integrazione e degli ammortizzatori sociali si possono fare i decreti di estensione dei diritti e delle tutele.

Renzi si è spaventato per la manifestazione della Cgil?

No, io penso che le manifestazioni libere come quelle delle organizzazioni sindacali abbiano la funzione di dare un contributo, poi i governi decidono. Questo opportuno passo indietro del governo è legato al fatto che il testo del Senato era quello della destra di Sacconi, che giustamente riteneva coerente quell’impianto. Quest’ultimo però non aveva nulla a che fare non tanto con le richieste che aveva fatto la minoranza del Pd, ma nemmeno con la maggioranza del partito che in direzione aveva votato un documento che non era nemmeno preso in considerazione dalla delega.



Il testo del Senato si ispirava troppo alla filosofia di Sacconi?

Il testo del Senato era basato oggettivamente sull’impianto di Sacconi e resta tale. Se si cancellano tutele e diritti e poi non si mettono le risorse necessarie, l’effetto che si ha sul mondo del lavoro è sotto gli occhi di tutti.

 

A questo punto Ncd potrebbe creare problemi al governo?

Non lo so. E’ compito del governo mediare e non mi sembra che le richieste fatte da Damiano siano insostenibili. Questo comunque deve chiederlo a Ncd. Il mio impegno in questo momento è che le modifiche sulle questioni economiche e sociali vadano in senso redistributivo, a tutela dei più deboli e delle imprese e soprattutto che siano di sinistra.

 

E’ in corso un dialogo con altri parlamentari per allargare la base del consenso sul Jobs Act?

No. Sul Jobs Act il problema non è la base del consenso né la base del dissenso. Il Jobs Act è composto soltanto da deleghe sul lavoro che il Parlamento dà al governo. Sono quindi tutti decreti che si faranno nel 2015 e nel 2016, e non deve essere il redde rationem sul lavoro. Dobbiamo cercare di far sì che in questo Paese la gente trovi lavoro e lo trovi nel più breve tempo possibile, che le imprese abbiano convenienza a produrre valore anche attraverso la valorizzazione del lavoro. Questo è ciò che conta, tutto il resto è aria fritta, sia se è detta da un lato che dall’altro. Tutto questo non si può fare cancellando i diritti e non mettendoci i soldi. Ora si è ripristinato un minimo di discussione, ma non si risolve il tema del lavoro con un documento.

 

(Pietro Vernizzi)

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