Il segretario della Fiom, Maurizio Landini, e la numero uno della Cgil, Susanna Camusso, dicono no alla mediazione sul Jobs Act raggiunta all’interno del Pd e annunciano che daranno battaglia “fino in fondo”. “La partita non è assolutamente chiusa. L’abbiamo già detto e lo ripetiamo – sono le dichiarazioni di Susanna Camusso -. Non è un voto di fiducia che cambierà il nostro orientamento e le nostre iniziative”. “Questa volta ha ragione Susanna Camusso: la mediazione del Pd sul Jobs Act non difende i diritti. Li estende”, è la replica su Twitter del presidente del Pd, Matteo Orfini. Abbiamo chiesto un’analisi della situazione politica ad Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera.
Come legge l’accordo sul Jobs Act dal punto di vista del Pd?
All’interno del Pd certamente l’accordo ha aperto a quella parte di minoranza, come Speranza e Orfini, che desiderava ardentemente ritrovare l’intesa con Renzi perché non vuole andare sulle barricate. L’accordo non ha però ottenuto l’effetto di creare la pace interna alla sinistra perché Cgil e Fiom l’hanno accolto come un bluff. Quella parte della minoranza del Pd che fa capo a Fassina, Cuperlo e Civati è rimasta tutto sommato contraria.
Ncd è diventato un partito marginale?
Sì, e lo stiamo vedendo nella vicenda del Jobs Act. L’articolo 18 era il fiore all’occhiello di Ncd, la cui posizione è interpretata da Sacconi. Giovedì Renzi senza avvisare nessuno ha fatto un compromesso con la minoranza del suo partito provocando le ire di Ncd che si è sentita tradita, che ha chiesto vertici e minacciato crisi di governo. Alla fine però Ncd può fare ben poco, la sua unica arma è fare cadere l’esecutivo, ma è l’esatto opposto di ciò che le conviene fare.
Che cosa ottiene il Nuovo Centro Destra a restare nel governo?
Grazie alla sua funzione ancillare nei confronti di Renzi, il partito di Alfano ha quantomeno ottenuto di abbassare la soglia di sbarramento al 3%. In sostanza quella di Ncd è più una politica basata sulla sopravvivenza che sull’iniziativa.
Com’è invece la situazione in Forza Italia dopo il nuovo incontro tra Renzi e Berlusconi?
L’incontro non ha cambiato di molto le cose, anzi il problema non mi sembra risolto. Berlusconi ha fatto finta di concedere qualcosa alla sua minoranza interna, cioè a Fitto, mantenendo la sua perplessità sulla questione del premio di maggioranza alla lista e sulle soglie di sbarramento. Il Cavaliere in realtà ha dato via libera a Renzi, dicendogli che di fatto Forza Italia non farà le barricate contro questa legge. In questo modo Berlusconi ha deluso quella parte del partito che continua a pensare che Berlusconi conceda troppo a Renzi.
Le aperture di Renzi e Berlusconi alle rispettive minoranze all’interno dei loro partiti si spiegano con il fatto che Napolitano ha escluso elezioni anticipate?
Non credo, anche perché non sono sicuro che i problemi tanto di Renzi quanto di Berlusconi con le loro rispettive minoranze interne siano stati risolti. E anche le stesse elezioni anticipate non sono scongiurate, perché se davvero Napolitano si dimettesse all’inizio dell’anno il nuovo capo dello Stato potrebbe decidere di sciogliere le Camere.
Dopo l’accordo con Renzi, Berlusconi è un leader privo di contenuti politici?
Diciamo che sin dalla nascita del governo Renzi, Berlusconi sta privilegiando la sua posizione personale rispetto al futuro del suo partito. Pensa che la cosa per lui più importante sia quella di restare in campo, continuare a essere influente e contare nella scelta del nuovo presidente della Repubblica, sperando che quest’ultimo sarà più magnanimo nei confronti della sua situazione giudiziaria.
Che cosa ne pensa nel merito sull’Italicum?
La mia posizione è contraria al premio di maggioranza anche perché non c’è Paese occidentale tranne Israele in cui ci sia. Del resto basta che 25 parlamentari fuoriescano dal partito che vince le elezioni perché quest’ultimo non abbia più la maggioranza. Il primo partito elegge 240 deputati, di cui 140 con le preferenze, e su questi ultimi non c’è un controllo diretto della segreteria.
(Pietro Vernizzi)