Anche il positivo incontro di Renzi con Putin sembra portare la firma del Patto del Nazareno. Le critiche di Bersani devono fare i conti con il fatto che gli ex Pci hanno sempre perso e che archiviando l’antiberlusconismo il Pd in un anno è passato dal 25 al 40 per cento.
La crescita (elettorale e negli ultimi sondaggi) di Matteo Renzi e il parallelo calo di Silvio Berlusconi hanno modificato gli equilibri del Patto e le imminenti dimissioni di Napolitano ne hanno cambiato le priorità, ma l’intesa tra i leader delle coalizioni di governo alternative sembra forte e destinata a caratterizzare anche la prossima legislatura. Il punto debole dell’accordo tra i due leader carismatici è che non controllano i rispettivi gruppi parlamentari.
Gli “scricchiolii” delle ultime settimane sembravano infatti provocati dalla comune volontà di elezioni anticipate — anche con il regime elettorale imposto dalla Consulta — da parte di Renzi per approfittare del consenso che riscuote, e da parte di Berlusconi per evitare il proseguimento del trend elettorale negativo e l’ingrossamento dei dissidenti.
Il rifiuto di Napolitano però di sciogliere il Parlamento che lo ha eletto (e, conseguentemente, di assumersi la responsabilità di affossare l’iter della riforma del bicameralismo e della nuova legge elettorale) ha costretto i leader del Pd e di FI a ribaltare — in modo speculare — la propria linea di condotta.
Mentre nelle ultime settimane Renzi e Berlusconi avevano assunto atteggiamenti sempre più di rottura verso le rispettive minoranze interne convinti di essere alla vigilia di elezioni-epurazione, ora con l’elezione del presidente della Repubblica alle porte hanno dovuto ribaltare la propria condotta e passare dalle minacce ai toni concilianti. Se prima Berlusconi apostrofava Fitto con un “Vattene” e Renzi gli faceva eco con un “Se ne vadano” rivolto agli ex Pci, ora è tutto un “parliamoci-chiariamoci”. Non si vive più alla vigilia di uno scioglimento delle Camere, ma di una decisiva “conta” nel segreto dell’urna tra gli attuali parlamentari. I voti di Fitto sono da 30 a 40, un “capitale” di cui Berlusconi non può fare a meno se vuol essere un “grande elettore” del prossimo inquilino del Quirinale. Analogamente Matteo Renzi deve concedere “vertici” di maggioranza e di partito per ridimensionare al massimo le defezioni. E’ così che i due leaders, riconfermando il patto del Nazareno, hanno voluto rassicurare i parlamentari con un comunicato congiunto in cui negano di voler votare prima del 2018. Un impegno a cui però non crede nessuno tanto è vero che Giorgio Napolitano preferisce firmare subito la lettera di dimissioni piuttosto che, tra qualche settimana, il decreto di scioglimento delle Camere.
Infatti la scelta elettorale è ormai obbligata per Renzi. Nessuna “ripresina” è dietro l’angolo ed avendo giocato tutto su decisionismo, velocità e risultati ravvicinati, Renzi ora teme la prospettiva di predisporre una legge di stabilità 2015 non più da “enfant prodige”, ma da “ripetente”.
Napolitano ha però tagliato la strada alla fuga nelle elezioni anticipate. Eleggere con il voto segreto del Parlamento un presidente che lo sciolga poco dopo non è facile e l’elezione presidenziale per Renzi è come una fiducia non a voto palese.
Una via d’uscita l’ha indicata Carlo De Benedetti nella sua intervista al Corriere della Sera. L’editore di Repubblica, finora considerato sponsor di Walter Veltroni al Quirinale, ha telegraficamente affossato la candidatura. De Benedetti ne ha infatti evidenziato la principale controindicazione nel senso che — ha sottolineato — al Quirinale occorre una personalità di prestigio istituzionale ma che non faccia ombra mediatica a Renzi. Un’affermazione che esclude innanzitutto l’ex sindaco di Roma che come l’ex sindaco di Firenze vive gli incarichi pubblici come un palinsesto televisivo e cioè con incontenibile invadenza mediatica.
Inoltre nel segreto dell’urna il patto del Nazareno, per reggere, deve allargarsi e comprendere anche ex Pci. L’identikit di De Benedetti che privilegia una personalità di prestigio istituzionale e internazionale (ma che non “buca” lo schermo televisivo e cioè di basso profilo mediatico se non antipatica) ed accettabile per uno schieramento che vada da Berlusconi a D’Alema non ha molti volti oltre a quello di Giuliano Amato (che scrisse il decreto per le tv di Mediaset e affianca D’Alema al vertice della Fondazione Italinieuropei).
Ora Matteo Renzi deve fare bene i conti e decidere se è in grado di affrontare il voto segreto, accettare di eleggere al Quirinale non un suo “cavallo” oppure chiedere a Giorgio Napolitano di rimanere almeno fino all’Expo di maggio rinunciando quindi alla “fuga” elettorale in primavera.