«Tanto Renzi quanto i sindacati sono ugualmente contraddittori». È lapidario il professor Francesco Forte nel commentare lo scontro sociale in atto nel nostro Paese, i cui contorni si vanno allargando in vista dello sciopero generale del 12 dicembre cui hanno aderito Cgil e Uil. La Cisl ha annunciato che non parteciperà, ma che si limiterà a sostenere l’agitazione del pubblico impiego. Il presidente del consiglio, intervistato da Rtl 102.5, ha osservato: “Non mi preoccupo di far scioperare le persone ma di farle lavorare. Anziché passare il tempo a inventarsi ragioni per fare scioperi, mi preoccupo di creare posti di lavoro perché c’è ancora tantissimo da fare”.
Ha ragione Renzi a polemizzare con i sindacati?
La linea di Renzi è contraddittoria. Il premier dovrebbe scegliere di dialogare con la parte riformista del sindacato, aprendo a quanti accettano di fare un ragionamento sulla produttività. Renzi però questo discorso non lo fa, ma vuole mandare in soffitta tutti i sindacati senza distinzioni. Il vero motivo è che è imbarazzato, perché i maggiori problemi gli vengono dal sindacato anti-riformista, la Cgil, che però è quello storicamente più legato al Pd.
In fondo le posizioni nel sindacato sono così differenziate?
Non abbastanza purtroppo. I sindacati riformisti sbagliano a non distinguersi dalla Cgil come avevano fatto per i contratti aziendali. È vero che Cisl e Uil si trovano isolate e in difficoltà, e che in questa situazione c’è paura e un senso di difesa. Chi guarda al futuro dovrebbe cercare però di lottare per i suoi ideali, non rannicchiarsi nella garanzia dell’esistente.
In che senso il comportamento dei sindacati è criticabile?
Il comportamento dei sindacati è molto criticabile perché uno sciopero generale è inopportuno. Siamo in un periodo di recessione e deflazione, e per uscirne non serve scioperare bensì accrescere la produttività. Uno dei modi per raggiungere questo obiettivo è avere un sistema di salari meglio collegati al risultato e al merito, con contratti più flessibili.
In quale direzione va il Jobs Act?
Il Jobs Act è una legge delega, e non si comprende alla fine quanta flessibilità darà e quali garanzie fornirà in cambio. Questo sciopero riflette semplicemente l’incapacità di chi guida i sindacati a essere riformisti e a capire la logica necessaria per creare occupazione. Cgil e Uil sembrano essersi dimenticate che un tempo la politica dei redditi si basava sulla produttività.
La politica del lavoro di Renzi è utile a rilanciare la produttività?
Da questo punto di vista Renzi commette due gravi errori. Il primo è che adotta uno schema che serve poco per la produttività, attuando una legge delega che lascia in ombra la questione dei licenziamenti disciplinari. In secondo luogo, il Jobs Act prevede un contratto di lavoro a tempo indeterminato le cui caratteristiche sono di essere unico, nazionale e a tutele crescenti.
Perché il contratto unico a tutele crescenti non va bene?
Perché in questo modo si ignora che nella realtà del lavoro esistono tante modalità diverse per creare occupazione. Giovani, donne, anziani, chi non riesce a trovare un lavoro a tempo pieno hanno bisogno di tipologie contrattuali diverse. Bisogna trovare il modo per fare incontrare domanda e offerta di lavoro secondo le diverse stagioni ed esigenze. Occorrono quindi tante tipologie di contratti, non uno solo.
Qual è il modello cui guardare?
Il modello cui guardare è quello di un contratto aziendale che serva nelle varie circostanze specifiche. Del resto i settori su cui si basa l’attuale sistema dei contratti nazionali oggi non ha più nessun significato, perché il progresso tecnologico fa sì che il tessile possa essere chimico e la meccanica possa essere elettronica.
La Cisl dice no allo sciopero generale ma sì all’agitazione per il pubblico impiego. Che cosa ne pensa di questa posizione?
È una posizione assurda. Fa bene a dire no allo sciopero generale, che è un errore, ma poi conferma l’agitazione del pubblico impiego. Quest’ultimo è quello più garantito e rispetto a cui c’è un maggior bisogno di sviluppo di produttività. Qualora i licenziamenti disciplinari fossero resi più agibili, ciò dovrebbe riguardare anche il pubblico impiego.
Lei vorrebbe una maggiore possibilità di licenziare i dipendenti pubblici?
Il punto è che l’amministrazione statale è il settore in cui c’è la maggiore garanzia di un posto fisso e la maggiore sottrazione alla competitività, per cui la produttività dipende molto dal comportamento dei singoli. La Cisl appoggia l’agitazione del pubblico impiego lo stesso giorno in cui c’è lo sciopero generale. Sarebbe stato molto più coerente se avesse indetto lo sciopero del pubblico impiego in un giorno diverso. D’altra parte fino a poco tempo fa la Cisl era a favore dei contratti di lavoro decentrati e se fosse coerente si opporrebbe al Jobs Act in nome di questi ultimi.
(Pietro Vernizzi)