Un’assemblea costituente e un presidente della Repubblica provvisorio che durino solo il tempo necessario per approvare la riforma del Senato e poi si dimettano. La proposta per uscire dall’ingorgo istituzionale che blocca la politica italiana prende a modello quanto avvenuto nel 1946, quando i padri costituenti e il primo presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, durarono solo il tempo necessario per scrivere e votare la nuova Costituzione. Quindi lasciarono il loro incarico facendo spazio a nuove elezioni. L’originale proposta viene da Rino Formica, uomo di spicco del Psi, eletto per la prima volta in Senato nel 1972, poi ministro delle Finanze e del Lavoro.
Partiamo dall’accordo sul Jobs Act tra Renzi e la sinistra. Quando ha concesso il presidente del Consiglio alla minoranza interna?
Quello sul Jobs Act è un atto legislativo che rinvia i problemi, e la questione vera non è il rapporto interno tra maggioranza e minoranza del Pd. Tra di loro vi è una guerriglia che non si manifesta mai attraverso grandi battaglie campali ma è sempre l’espressione di piccoli colpi di mano. Di sostanziale nel compromesso sul Jobs Act c’è poco. Da un punto di vista simbolico invece l’opposizione interna ha avuto dalla sua parte l’essere uscita da una situazione di isolamento e di minoranza disprezzata. Pur concedendo pochissimo, Renzi ha ottenuto la disponibilità dell’opposizione a non esercitare la guerriglia in aula. Questi fatti stanno a testimoniare soprattutto che l’uno non ha battuto definitivamente l’altro.
Come legge il calo di Renzi nei sondaggi?
Se ci fosse stata una situazione più dinamica del sistema politico italiano, con un’opposizione visibile come soluzione alternativa, il crollo di Renzi sarebbe stato decisamente maggiore. Il premier gode ancora di una caduta relativa, che è limitata perché un’opposizione alternativa e visibile non c’è. I sondaggi limitano quindi la caduta, che nel giudizio reale del Paese è di gran lunga maggiore. Quando ci si esprime su un governo lo si fa non soltanto sugli atti compiuti da quest’ultimo, ma anche sulla possibilità che ci siano delle soluzioni alternative.
La legge elettorale vale solo per la Camera, ma intanto la riforma del Senato non c’è. Come se ne può uscire?
Una legge elettorale per il Senato comunque c’è ed è il Consultellum, il vero problema è un altro. C’è anche un ostacolo all’elezione del nuovo presidente della Repubblica, in quanto questo Senato sarà l’ultimo a votare per il Quirinale. Non ha senso però che il nuovo presidente duri per sette anni pur essendo stato eletto da un Senato che non c’è più.
La mia proposta quindi è di eleggere delle camere con una funzione specifica, di natura costituente. Il successore di Napolitano dovrebbe essere un presidente della Repubblica provvisorio in carica per la stessa durata della procedura di modifica costituzionale che sopprime metà del Parlamento. Se ci dovessero essere delle elezioni anticipate, anche le nuove Camere dovrebbero durare soltanto per il periodo che richiederà il processo costituente, proprio come avvenne con l’Assemblea eletta nel 1946.
Perché Renzi insiste ad andare allo scontro con i sindacati?
Non sono il tutore delle idiozie altrui.
Quello di Renzi è un autogol?
Solo nei sistemi autoritari un presidente del Consiglio o un capo di Stato offendono le forze sociali nel Paese.
Per i sondaggi l’astensionismo alle Regionali in Emilia-Romagna è al 50 per cento. Secondo lei perché?
Sarebbe meglio aspettare lunedì per parlare, perché oggi il voto dipende sempre di più da una decisione dell’ultimo momento. E’ cambiata l’adesione di fondo. Non c’è più un’adesione fedele per appartenenza, e quindi il voto è sempre più ballerino.
(Pietro Vernizzi)