“Se Camera e Senato restassero come sono e il governo continuasse ad avere bisogno della fiducia di entrambe, è chiaro che il premio di maggioranza alla Camera non avrebbe senso, perché non garantirebbe in alcun modo un governo certo e stabile. Sarebbe irragionevole e dunque incostituzionale”. Lo ha dichiarato Massimo Luciani, costituzionalista all’Università La Sapienza, in un’intervista al quotidiano Repubblica. Una tesi con cui non è però d’accordo Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte costituzionale e docente di Institutiones iuris civilis publici presso la Pontificia Università Lateranense.



Perché non condivide la tesi del professor Luciani?

Il problema non è relativo alla costituzionalità, ma al fatto che questa legge elettorale non funzionerebbe, in quanto formulata in questo modo produrrebbe effetti disastrosi.

Ma non ci sarebbe incostituzionalità determinata dall’irragionevolezza?

L’irragionevolezza dell’incostituzionalità è un conto, una legge fatta male anche se non arriva al livello macroscopico dell’irragionevolezza è un altro discorso. In questo caso vedrei più il secondo problema anziché il primo.



Quale può essere la soluzione per coordinare Italicum e riforma del Senato?

Finché c’è il Senato converrebbe attuare una legge che estenda il sistema della Camera anche al Senato. Quando il Senato non ci sarà più, allora sarà un altro discorso. La cosa migliore da fare è una legge ponte che assicuri anche al Senato una situazione di omogeneità.

Da un punto di vista formale si tratta di una soluzione semplice da trovare?

Sì, basta che ci sia la volontà politica.

E perché allora questa legge non è ancora stata fatta?

Basta vedere lo spettacolo offerto ogni giorno per comprendere il livello dei nostri politici. Non stupisce quindi che si verifichino determinate cose.



Se si andasse a elezioni anticipate, il Consultellum permetterebbe di votare in modo legittimo?

In modo legittimo sì, ma anche in modo disastroso dal punto di vista dell’efficacia. Sulla legittimità però non avrei dubbi, anche se la legge assicurerebbe una maggioranza alla Camera e un’altra al Senato. Del resto sono numerosi gli Stati in cui questo avviene, basti pensare agli Usa dove fino al mese scorso una camera era in mano ai Repubblicani e l’altra ai Democratici (ora sono entrambe nelle mai dei Repubblicani, ndr). Per questo, a differenza di quanto afferma il professor Luciani, non vedo l’incostituzionalità di una legge che anche in Italia riproduca questo effetto.

 

La Costituzione vieta di applicare un premio di maggioranza nazionale al Senato?

No, ma non ho mai condiviso questa interpretazione che pure è stata fatta propria da Carlo Azeglio Ciampi all’epoca in cui era presidente della Repubblica. All’epoca il Quirinale osservò che la Costituzione prescriveva una base regionale per il Senato, e quindi un calcolo dei seggi regione per regione. La mia interpretazione della Costituzione però è differente, in quanto ritengo che il calcolo dei seggi su base regionale sia stato un errore. I collegi possono avere base regionale, ma quella della Costituzione è una frase generica che non vincola ad assegnare su base regionale anche il premio di maggioranza.

 

Che cosa accadrebbe in caso di dimissioni di Napolitano, se il nuovo presidente fosse eletto dal Senato prima che quest’ultimo perdesse le sue funzioni?

Se Napolitano si dovesse dimettere, e il Senato fosse abolito uno o due anni dopo, il nuovo presidente ne risulterebbe fortemente delegittimato, perché sarebbe mutata notevolmente la sua base elettorale. Sarebbe auspicabile quindi che si dimettesse al termine del processo costituente, proprio come fece Enrico De Nicola nel 1948. Questa scelta dipenderebbe però dal presidente, nessuno potrebbe costringerlo.

 

(Pietro Vernizzi)

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