Secondo gli ultimissimi sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani, la Lega Nord sta crescendo vertiginosamente, attestandosi oltre il 10% di consenso elettorale su scala nazionale, il che è sbalorditivo se si pensa che un anno fa quando l’attuale segretario Matteo Salvini venne eletto trovò un partito che a fatica raggiungeva il 3% a livello nazionale, e che alle elezioni europee della primavera scorsa si attestò al 6% di consensi su scala nazionale. Una crescita esponenziale che ha portato i media a identificare Salvini come “l’altro Matteo”, in antitesi all’attuale Premier Renzi, che può invece fregiarsi di essere semplicemente Matteo.



Ma proprio mentre questa crescita esponenziale parrebbe dare ragione alla linea politica e all’approccio mediatico di Salvini, in quest’ultimo anno con la segreteria di Salvini si celebra definitivamente il de profundis della Lega Nord come l’abbiamo conosciuta per quasi trent’anni.

C’era una volta in origine la Lega Lombarda, fondata nella prima metà degli anni Ottanta da Umberto Bossi, che, nel breve volgere di pochi anni, si affacciò sulla scena nazionale con una forza dirompente. All’epoca non c’erano internet e i social network, tutte le notizie politiche arrivavano ai cittadini-elettori filtrate da giornali (quotidiani e periodici) e televisioni lottizzate tra i maggiori partiti politici all’epoca sulla scena, quali Dc, Pci e Psi. Erano gli anni del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani), del “pentapartito”, della spesa pubblica dissennata ma funzionale all’estensione della longa manus che i partiti operavano su pezzi sempre più grossi della società civile con finalità di voto di scambio con la conseguenza di portare il debito pubblico dal 60% al 120% Pil, della “Milano da bere” e delle tangenti che di lì a poco avrebbero terremotato l’intero emiciclo parlamentare.



La Lega Lombarda irruppe sulla scena politica in modo impetuoso: facendo un parallelismo canoro, si potrebbe dire che ebbe lo stesso impeto di Vasco Rossi nella musica italian; in un mondo dominato dai grandi cantautori schierati politicamente che continuavano a codificare la società esistente con temi legati alla “lotta di classe”, Vasco Rossi portò in musica il “disagio di vivere”, lo sballo e la rabbia della generazione post-sessantottina che si affacciava sulla scena sociale; ecco, la Lega Lombarda fu questo, squassò la classe politica esistente e sparigliò le carte di un mondo politico solo ideologicamente diviso e blaterante di tematiche e difesa degli “interessi di classe”, in realtà ben arroccata a difesa dei propri privilegi, del proprio potere e della propria impunità.



Al concetto ideologico di lotta di classe, contrappose il discrimine sociale, economico e politico legato alla dicotomia geografica Nord-Sud del Paese. Con la sola forza della militanza che volantinava, affiggeva volantini, faceva gazebo nei mercati e imbrattava i muri con slogan politici semplici e immediati, la Lega mieteva sempre più successo, non offriva all’elettorato una visione del mondo per classi contrapposte, bensì una visione di comunità, collettività, non una lotta politica basata sul censo, sul reddito, sul ruolo sociale, bensì declinato all’appartenenza territoriale, all’humus storico-culturale che un territorio sapeva esprimere e irraggiare poi in tutti gli aspetti del vivere civile, da quello economico a quello produttivo, da quello culturale a quello solidaristico-sociale.

La crescita nei consensi portò la Lega Lombarda a federarsi con le altre “leghe” presenti nelle regioni del nord Italia, creando così la Lega Nord, con segretario federale sempre Umberto Bossi, e questa presenza fu importante per l’esplosione del fenomeno passato alla storia come “Mani Pulite”, l’immensa inchiesta della Procura di Milano affidata a un pool di magistrati che, indagando a partire da una tangente di poche decine di milioni di lire, scoperchiò un vaso di Pandora fatto di corruzione, concussione e diffuso malaffare che coinvolgeva tutti i partiti del panorama politico italiano, terremotandone la stragrande maggioranza, assieme a politici di primissimo piano sino ad allora adulati, temuti e rispettati.

La Lega Nord era un tutt’uno con il suo leader Umberto Bossi, con un gesticolare a volte volgare e un eloquio tutt’altro che raffinato, ma forte di una carica emotiva esaltata dalla voce roca e profonda e da poche ma efficaci idee, bucava lo schermo, faceva parlare di sé riempiendo pagine di quotidiani e periodici, che seppur ostili non potevano fare a meno di farlo attore principe della politica italiana. I cardini della Lega ruspante delle origini erano la contrapposizione Nord contro Centro-Sud, rimarcando in particolare la differenza di peso e considerazione per quanto riguardava la produzione della ricchezza, l’incidenza della spoliazione fiscale, l’erogazione di contributi pubblici a fondo perso, la provenienza territoriale dei dipendenti e dei funzionari pubblici. Ma un altro aspetto, non meno importante, era la lotta alla partitocrazia e a una classe politica gerontocratica, il che significava un secco e netto diniego verso i politici di professione e l’utilizzo della Pubblica amministrazione per farne potentati familistici e parentali.

Nel corso dei successivi vent’anni la Lega Nord attraversò varie fasi con alterne fortune elettorali e cambiò diverse volte pelle a seconda che fosse in maggioranza o all’opposizione del governo italiano. Si passò dall’iniziale e generico concetto di autonomia della Lombardia e delle regioni del nord Italia, a un più organico progetto di federalismo (in ciò aiutata dalla presenza di Gianfranco Miglio), dalla volontà di operare una secessione del territorio del nord Italia, ribattezzato “Padania”, al concetto di Lombardo-Veneto, dallaDevolution agli ultimi anni con le proposte di federalismo fiscale, federalismo territoriale, ai costi standard, in una politica di continua attenuazione e delusione degli obiettivi e delle ambizioni iniziali.

L’agonia del partito è iniziata con l’alleanza del 2001 alle politiche nazionali, comprendente Forza Italia, Alleanza Nazionale e Centro Democratico nella coalizione ribattezzata “Casa delle Libertà”, un’alleanza a detta di taluni necessaria per vedere rimpinguate le esanimi casse del partito per iniziative di vario titolo non andate a buon fine, e come non bastasse durante la legislatura sopravvenne l’ictus che colpì il capo indiscusso, Umberto Bossi. Questo accadimento ebbe come conseguenza la creazione del cosiddetto “cerchio magico”, una ristretta èlite di fedelissimi che vicini al capo decidevano le sorti del partito e degli appartenenti al partito.

Ed è da qui che è iniziata una lunga guerra sotterranea che negli anni, come un fiume carsico che lentamente scava la roccia, ha portato a lotte intestine dapprima abilmente sottaciute e poi, a seguito delle indagini della magistratura per una gestione dissennata e truffaldina dei soldi del finanziamento pubblico ai partiti, a emergere con virulenza, culminando nella cosiddetta “notte delle scope”, dove Roberto Maroni e i suoi fedelissimi aggregati sotto l’etichetta di “barbari sognanti” presero le redini del partito e iniziarono un’opera di epurazione degli appartenenti al “cerchio magico”.

Fu un rinnovamento di facciata, infatti sono rimasti in auge sia livello nazionale che a livello locale i soliti personaggi della prima ora, prima “bossiani di ferro” poi “maroniani” per convenienza e sopravvivenza politica, in barba alla lotta nei confronti dei “politici di professione”, c’è stato un assopimento delle linee politiche degli esordi, rozze forse, ma semplici, chiare e genuine, per lasciare spazio a “maneggiatori” da Prima Repubblica.

Quello che fu un movimento nato tra la gente per rivendicare attenzione verso gli interessi della gente delle popolazioni del nord Italia, nel volgere di due decenni ha progressivamente perso la sua carica di spontanea genuinità per disgregarsi tra politici salottieri di professione, arrivisti locali, estremisti di destra, perditempo senza arte né parte, ma soprattutto una linea politica “autonomista” sfumata, con poca presa e credibilità tra i cittadini-elettori del proprio territorio di riferimento.

E qui entra in gioco l’azione politica del neo-segretario Salvini, l’altro Matteo, il finto nuovo che avanza, infatti da un quarto di secolo è in Lega Nord e da almeno vent’anni è percettore di emolumenti per incarichi pubblici di vario tipo (consigliere comunale a Milano, eurodeputato a Bruxelles), che in barba al “nuovismo” che dovrebbe rappresentare, vanta già un curriculum familistico da politico navigato. Infatti, l’ex moglie Fabrizia Ieluzzi è stata per quasi dieci anni alle dipendenze del Comune di Milano, assunta a chiamata dal 2003 e confermata più volte prima da Gabriele Albertini e poi da Letizia Moratti, mentre l’attuale compagna Giulia Martinelli è stata assunta sempre a chiamata nella Regione Lombardia a guida Roberto Maroni all’interno dello staff dell’assessore al welfare Maria Cristina Cantù. Alla faccia del familismo da Prima Repubblica!

Ma quel che è peggio, ha trasformato un partito autonomista-indipendentista in un partito di estrema destra, passando dalla difesa degli interessi dei cittadini della Padania, all’abiura di questo termine per proporsi quale baluardo sull’intero territorio nazionale italiano dall’invasione degli immigrati, dal sogno di una Padania indipendente e mitteleuropea, alla difesa della sovranità italiana dalle pretese di Bruxelles, dalla volontà di essere in un’Europa dei popoli, alla volontà di uscire dall’Euro, allontanarsi dall’Europa all’insegna di un’autarchia dal vago sapore di ventennio mussoliniano.

Come se il problema della mancanza di sopravvivenza delle imprese del nord Italia fosse imputabile all’euro e alla Merkel, anziché alla pelosa burocrazia statale, alla spoliazione fiscale che con serrata cadenza quotidiana interessa le imprese, alla farraginosità della magistratura, a una scuola che non prepara adeguatamente al mondo del lavoro e, più in generale, a un clima culturale di odiosa diffidenza e invidia verso chi lavora e produce ricchezza.

Oggi più nessuno è quello che la storia ha fatto essere, a sinistra si organizzano cene da 1.000 euro con imprenditori per lisciare loro ben bene il pelo, mentre a destra ci si concentra sullo sgravare gli anziani per quanto riguarda dentiere e operazioni di cateratta, e quello che fu il partito nemico dell’Italia unita tanto da farne tremare le gambe anni addietro, ora si erge a paladino della stessa in funzione anti-immigrati e anti-Europa.

Non c’è più la ruspante passione, la genuina rozzezza, la verginità politico-istituzionale che permetteva anche di commettere errori senza per questo fosse scalfita la fiducia dei cittadini-elettori, il sogno di potersi “autodeterminare” o con un federalismo estremo o con una secessione territoriale nel nome della Padania.

È quel che resta della Lega Nord, un contenitore politico che, a parte fungere da ufficio di collocamento per pochi eletti, familiari e affini, non ha più nulla dentro per i cittadini del Nord; tanto varrebbe liquidarla e consegnarla ai libri di storia come l’ennesima incompiuta in un Paese, l’Italia, di per sé somma e contenitore di storie incompiute.

 

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