Caro direttore,
ho già pubblicato, negli anni, un paio di articoli difendendo l’idea di votare scheda “bianca”. Perché mi permetto di tornare sull’argomento? Perché questo tipo di voto, anche se è (in modo più o meno preciso, più o meno frettoloso) menzionato nelle statistiche, è per sua stessa natura un voto senza voce — dico, senza voce pubblica o istituzionale. Lascio ai giornalisti  specializzati e ai politologi la cura di commentare le statistiche sul cosiddetto astensionismo; e inoltre la cura di distinguere — distinzione importante — fra chi non si reca a votare, chi depone scheda bianca, e chi annulla la scheda; e mi limito ad abbozzare quella che è sostanzialmente una voce di diario — un “diario in pubblico”.



Una voce di diario per dire due parole su un voto senza voce… Appunto: se la voce di una certa  visione (il voto-no) che in ultima analisi è inevitabilmente politica, non ha accesso alla politica nel senso tradizionale del termine, le resta solo la possibilità di un’espressione marginale: per esempio l’espressione apparentemente privata del diario. Ma nessun diario (non solo quello “pubblico”, ma anche quello “intimo”, anche quello “proibito” — vedi Quaderno proibito, il bel romanzo di Alba de Céspedes) è veramente e completamente privato. Tutt’al più è, come si diceva, marginale; di una marginalità che è anche quella della poesia — almeno, della poesia che non si lascia cooptare dal conformismo, pretendendosi “civile”.



Inoltre, il diario ha anche la possibilità di esprimere le granularità, le più sottili sfumature diacroniche, della storia. Un voto-no in queste elezioni regionali, in questa regione (l’Emilia-Romagna), in questo mese e giorno autunnali (23 novembre 2014) ha un senso diverso da altri voti-no espressi in momenti e contesti precedenti o seguenti, e in ambiti geo-politici diversi. Certo, l’esperimento dell’ individuazione ha qualche cosa di vertiginoso: dove ci si può fermare, in questo processo di particolarizzazione? Mi fermo all’esperimento in corpore vili.

Un individuo che sta rientrando pressoché definitivamente (l’umano non è mai definitivo) nella sua città natale, che sta faticosamente ritrovando quelle che si chiamano le “radici”, e sta riabituandosi alla bruma bolognese, e sta tentando di riallacciare i rapporti con i pochissimi amici che forse gli sono rimasti — un individuo che in vita sua non ha mai tracciato un graffito, nemmeno sulla parete di un cesso, o strappato un avviso murale o un manifestino — entra nel seggio elettorale, legge le dettagliate istruzioni affisse al muro, “esibisce” (come suol dirsi) tessera elettorale e carta d’identità, ritira la scheda, entra nella cabina in cui è al riparo da ogni sguardo (“Dio ti vede, Stalin no”, diceva uno slogan del 1948 che aveva impressionato lui bambino non ancora votante, e di cui adesso sente tutta la faziosità) — entra nella cabina in cui una cortina nera lo isola, permettendogli e in effetti richiedendogli raccoglimento; e traccia con una certa difficoltà (le matite elettorali sono sempre un po’ spuntate) tre grandi “No” per essere sicuro di coprire tutto lo spazio disponibile sulla scheda.



Insomma: questa persona ha rifiutato la griglia dei simboli e delle possibilità nominative dei candidati — si potrebbe quasi dire che questo anti-graffitaro ha deturpato un documento ufficiale. Ma il suo gesto non è stato estetizzante — non si tratta di una citazione futuristica o dadaistica. Come sempre, però, risulta molto più difficile specificare ciò che questo gesto è stato piuttosto che indicare ciò che non è stato; tanto più che il votante non ha risposte definitive (se le avesse avute, si sarebbe allineato a un partito).

Ma qui non ci si vuole nascondere dietro un dito, e in effetti, bisogna andare al di là del caso singolo, bisogna azzardarsi a dire almeno una parola su quello che l’astensione potrebbe esprimere, in quanto fenomeno generale. L’astensione (il biancore, l’annullamento) esprime un atteggiamento che ridimensiona forse la solidarietà — come categoria un po’ troppo razionalistica — ma non rifiuta affatto l’amore alla propria città e regione: solo che dà voce a questo amore partendo dal “basso” dell’esperienza quotidiana piuttosto che dall'”alto” delle ideologie partitiche. 

 

(Post scriptum: nel momento in cui scrivo queste righe, meno di due ore prima della chiusura dei seggi, il numero dei votanti in Emilia-Romagna sembra oscillare intorno al 30 per cento.)