In sei mesi il Pd in Emilia-Romagna passa da 1 milione e 212.392 voti a soli 535.109. Confrontando i risultati netti delle Europee a livello regionale con le elezioni per il governatore l’effetto è impietoso, molto più che se si prendono in considerazione le percentuali. L’astensione alle stelle ha colpito al cuore l’elettorato di centrosinistra. Abbiamo chiesto un’analisi a Stefano Folli, editorialista di Repubblica.



Renzi dice che l’astensionismo è un problema secondario. Ha ragione?

Renzi punta l’attenzione sul fatto che ha vinto le Regionali e ha imposto i candidati del Pd come governatori. Però io penso che sbagli, perché l’affluenza alle urne e la difficoltà a ottenere i voti tradizionali non sono problemi secondari. Il piano di Renzi è sempre stato quello di prendere voti al di là del vecchio recinto della sinistra classica. Il problema però è che se per prendere i voti nuovi si perdono quelli vecchi, allora c’è da dubitare della bontà di questa strategia.



Che cosa ha sbagliato Renzi tra le Europee del 25 maggio e le Regionali del 23 novembre?

L’unico errore che vedo è che ha esagerato nella polemica contro il sindacato e contro i vecchi personaggi del Pd. Non c’era bisogno di umiliarli o mortificarli. Quella della sinistra italiana è una storia complessa. Renzi si è posto giustamente il problema di superare il potere di veto che certi gruppi e organizzazioni si erano arrogati. Ma superare il potere di veto non significa ignorare la complessità della storia italiana in cui il sindacato ha avuto e ha un ruolo.

E’ solo colpa di Renzi, o questo voto documenta anche che le Regioni sono screditate?



Non c’è dubbio che la responsabilità di Renzi in Emilia-Romagna è relativa, perché sono le istituzioni locali che hanno pagato il prezzo più alto. A pesare moltissimo sono stati un certo establishment troppo anchilosato che ha dato luogo a fenomeni scandalistici, la mancanza di un vero ricambio nella classe dirigente, il nuovo fenomeno della Lega nord. Renzi ha ragione quando dice che non può essere l’Emilia-Romagna a fermarlo. Ha torto quando dice che il fenomeno dell’astensione è irrilevante, perché a differenza degli Usa l’Italia ha una tradizione di affluenza alle urne molto elevata. Nel 1995 l’Emilia-Romagna aveva avuto un’affluenza dell’89,9%, ora è al 37,67%: questo definisce uno strappo molto pericoloso.

Renzi ha attribuito le colpe dell’astensione a Camusso e Landini. Ha ragione?

Certamente il sindacato non ha spinto i suoi iscritti ad andare a votare, così come molti dei vecchi esponenti del Pd locale hanno fatto lo stesso. Ma non c’è dubbio che siamo di fronte a uno dei passaggi cruciali della trasformazione del Pd in “Partito della Nazione”. Il problema di Renzi è riuscire a operare questa trasformazione senza perdere il consenso e il voto dei vecchi gruppi. Se questo fenomeno dell’astensione si dovesse ripetere su scala più ampia al di là dell’Emilia-Romagna, ciò determinerebbe un grosso problema…

 

Nel suo “Punto” di oggi (ieri, ndr) lei ipotizza che possa essere Salvini ad arginare Renzi. A quali condizioni ciò può avvenire?

Nel centrodestra c’è un grande vuoto e Salvini lo occupa. Oggi è realistico pensare che questi due Mattei siano quelli che costruiranno intorno a se stessi il confronto politico di domani. Renzi è contento di avere Salvini come interlocutore avversario, perché ritiene di poterlo battere più facilmente di quanto potrebbe battere un centrodestra più strutturato. Indubbiamente però Salvini è un personaggio da non prendere sottogamba.

 

(Pietro Vernizzi)