“Salvini sta riuscendo in un’impresa con la quale Bossi non si era mai neanche cimentato: portare la Lega nord a confrontarsi con la politica vera e non soltanto con l’idolatria del capo”. Parole di Irene Pivetti, leghista della prima ora ed ex presidente della Camera dei Deputati, anche se oggi come ci tiene a precisare non fa più parte del partito e ha abbandonato la politica per la carriera televisiva.



Quanto è cambiata la Lega nord da Bossi a Salvini?

Sono cambiate molte cose, anche se il mio punto di vista è diverso perché allora stavo dentro al partito e ora ne sono fuori. Sicuramente però quella di oggi è una Lega nord molto più laica, più moderna, meno centrata sull’unica persona del leader e basata di più su un’identità autenticamente politica. La Lega è un partito che inaspettatamente è risorto, perché dopo la fine di Bossi chiunque avrebbe scommesso sulla sparizione dello stesso Carroccio. Invece la Lega si è trasformata in un partito moderno, di destra ed europeo.



Per quale dei due leader il compito è più difficile, per Bossi o per Salvini?

Il compito per Salvini è molto più difficile. Nel 1992 Bossi si trovò a riempire un immenso spazio di protesta che stava montando. Salvini invece ha di fronte l’ardua sfida di una ricostruzione propositiva, e si sta rivelando capace di fare proposte senza ricorrere all’idolatria del leader che caratterizzava il Senatur. Bossi non ha mai avuto la necessità di misurarsi con le dinamiche della politica, perché riscuoteva un’adesione quasi religiosa, mentre Salvini si misura con il consenso fluttuante dei partiti moderni.



Salvini ha le potenzialità per ottenere il voto dei moderati?

Sì. La comunicazione nazionale della Lega è sostanzialmente moderata, i toni a volte sono accesi, ma neanche poi tanto perché Salvini è tutt’altro che un estremista.

Come valuta la posizione di Salvini sugli immigrati?

La posizione della Lega sugli immigrati esprime una tensione, un malcontento, una percezione di allarme molto diffusa. Quella proposta da Salvini è una soluzione parziale, che non tiene conto delle esigenze umanitarie che sono molto importanti quando si parla della questione del Mediterraneo.

Come vede la saldatura tra la Lega nord e il lepenismo e altri movimenti europei?

La Lega ha sempre avuto un respiro che va al di là del Nord Italia. A rendere molto interessanti tanto la Lega quanto alcuni movimenti europei è il tema dell’identità, cioè l’idea che la scelta politica non ruota intorno a categorie economiche bensì culturali. E’ un appello che fa leva più sulla storia che non sul reddito. E’ un elemento che era molto presente nella Lega delle origini, e che poi è stato soffocato da una deriva un po’ razzista e all’insegna di una generica ribellione. Passata quella stagione, adesso è tornato il momento di una riaffermazione più costruttiva della identità leghista. Questo elemento però non è identificabile tout court con la destra, né tantomeno con l’estrema destra, e trovo dunque che il collegamento con il lepenismo sia solo parzialmente interessante.

 

La Lega esprime un voto di protesta o è potenzialmente un partito di governo?

Tutte e due le cose. Certamente raccoglie i voti degli scontenti, ma oggi la protesta va soprattutto in un’altra direzione un po’ più urlata. Non dimentichiamoci che oggi la Lega nord è uno dei partiti italiani più antichi (è stata fondata nel 1989, Ndr).

 

Come è cambiato il rapporto tra Lega nord e Forza Italia?

L’implosione di Forza Italia lascia dei brandelli sparpagliati di partito che sopravvivono. Renzi in questo momento vive per abbandono del campo da parte dell’avversario, e la Lega resta uno dei pochi partiti strutturati. La coalizione di centrodestra come c’era una volta oggi però non esiste più.

 

(Pietro Vernizzi)