Il Seminario annuale di Formazione dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà è dedicato alla riforma del Terzo settore proposta dal Governo Renzi e ora in discussione alla Camera dei Deputati. Il titolo del seminario dice sinteticamente la posizione dell’Intergruppo: “Più società fa bene allo Stato”. Perché dedicare il nostro seminario annuale a questo tema, che non è tra quelli che riempiono le pagine dei nostri media in questo momento? Il secondo motivo è che il non profit non è un settore residuale, dopo Stato e mercato. Non lo è, non solo dal punto di vista sociale, ma anche dal punto di vista economico.



Dal punto di vista sociale, la numerosità e la varietà dei soggetti non profit costituisce una ricchezza straordinaria e invidiabile di creatività e di responsabilità nella pronta risposta ai bisogni. Dal punto di vista economico, è innegabile il notevole apporto di questo settore al Pil e all’occupazione. Va anche riconosciuto che negli ultimi 15 anni si è assistito ad una forte aumento della capacità gestionale da parte dei soggetti non profit e, infine, che esso costituisce uno dei pochi settori in crescita negli anni della crisi. Tutto ciò dovrebbe farci cambiare definizione del terzo settore: lo si dovrebbe chiamare “high profit”, proprio per la capacità di unire profitto sociale e profitto economico. Il terzo e ultimo motivo sta nel ruolo decisivo del non profit, in un’ottica di sussidiarietà compiuta, rispetto alla crisi del Welfare State. Il Welfare State tradizionale – lo stato assistenziale dalla culla alla tomba – non tiene più. Non tiene più perché era sbagliato concettualmente (lo Stato che provvede a tutti i bisogni dell’uomo) e i modelli concettualmente sbagliati perché utopistici inevitabilmente non riescono a tenere anche dal punto di vista della sostenibilità economica nel tempo.



Occorre passare a un nuovo modello di welfare, abbandonando il vecchio welfare statalistico e assistenzialistico per un nuovo welfare sussidiario e delle opportunità. Un welfare in cui il soggetto non sia passivo e da assistere, ma attivo e a cui sono date opportunità. Occorre dunque un nuovo modello e non solo per ragioni economiche: “ricorriamo al non profit perché lo Stato non ce la fa più con le risorse”; questa è una falsa sussidiarietà. Occorre, innanzitutto, una ragione culturale e ben più profonda: la forza di un Paese è il protagonismo dei suoi cittadini. Il compito di una politica di vera sussidiarietà è creare spazi in cui l’iniziativa delle persone – singole e, tanto più, associate – sia riconosciuta, valorizzata e sostenuta.

Nel suo discorso di martedì al Parlamento europeo, Papa Francesco ha citato due volte la necessità di politiche di solidarietà e sussidiarietà. Benedetto XVI nella sua prima enciclica (Deus Caritas est) ha scritto: “L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa renderlo superfluo. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine (…). Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica, che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente – ogni uomo – ha bisogno: l’amorevole dedizione personale.

Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto”. Perché il Welfare sia veramente giusto, cioè rispondente davvero ai bisogni degli uomini e delle donne, occorre che non lasci fuori niente della persona, occorre che consideri la persona tutta intera, che comprenda che il primo ed essenziale bisogno dell’uomo è di non essere solo (e si può essere soli anche se perfettamente assisiti). Per questo, “più società fa bene allo Stato”.