Emilia Romagna e Calabria, vittoria del Pd di Renzi, vittoria pienamente prevedibile, nessuno si è curato di generare una alternativa credibile. In alternativa è rimasta solo l’astensione dal voto. Ma l’astensione riguarda anche il Pd, e questo è interessante, perché dice: 1. che il Pd non può più contare sui voti di fedeltà, e questo si vede bene in Emilia; 2. che il massimalismo di sinistra, interno ed esterno al Pd, non ha generato un riferimento per il voto di opposizione. Gli elettori di sinistra non votano più la sola protesta, alla Landini.
Dunque la Cgil con gli scioperi contro il governo, Bersani con l’opposizione a Renzi, Vendola e Cuperlo che vogliono diritti senza doveri, non sono credibili per gli elettori, che invece cercano un’alternativa di sostegno sociale ai più deboli. Renzi non è nelle condizioni di riguadagnare i voti della protesta perché è ancora di fronte ad una crisi economica che non accenna a finire.
Se ci fosse un’alternativa democratica alla sinistra allora le cose cambierebbero anche verso questo astensionismo di massa. I cittadini non possono accettare la democrazia ridotta al partito unico, la accetterebbero solo se tale partito unico garantisse tutti. Ma questo è tipico delle dittature, che dominano promettendo che il buon padre si occuperà di ciascuno.
La democrazia chiede invece culture politiche alternative, affinché gli elettori possano valutare quali tipi di intervento sono più urgenti; in genere nella democrazia vince l’area liberale quando si vuole più mercato e competizione, e vince l’area sociale quando sono più diffusi e urgenti i problemi di sostegno reciproco. Queste sono le culture che i promotori di formazioni politiche devono scegliere e produrre come unità dell’area di quella cultura, che non sarebbe giusto chiamare sinistra o destra.
La sinistra italiana è ancora divisa come nel secolo delle ideologie, è divisa fra anarchismo e statalismo. I massimalisti sono quelli che vogliono la “grande giustizia”. In questi giorni sono quelli che vogliono la rigidità dell’articolo 18, e nel contempo vogliono l’aumento dei posti di lavoro, come se fosse il governo a generare posti di lavoro e non gli imprenditori. Gli statalisti sono quelli che vogliono l’omologazione per mano dello Stato educatore, e per questo oggi, con i gravi problemi che abbiamo, si occupano di matrimoni omosessuali e di divorzio breve. E naturalmente mettono al centro la scuola come agenzia del pensiero unico.
La destra italiana è divisa in modo drammatico, perché la libertà, ideale significativo della cultura non sociale, è disgregata nell’individualismo e nella ricerca dell’uomo forte. Ora in Italia si riproduce il rito del personalismo che domina il centrodestra da 20 anni, e avviene adesso come competizione fra Berlusconi e Salvini, ovvero fra due persone che sono segno del tutto parziale, Berlusconi delle ragioni dei ricchi arrabbiati, Salvini delle ragioni del popolo arrabbiato.
Ora sta vincendo la gara Salvini, che reinterpreta la destra come chiusura in un sistema sociale ed economico protetto da tutte le forze esterne.
Sembrava disperante il ruolo delle formazioni moderate che si collocano al centro per distinguersi dalla destra personalista e manichea. Invece comincia ad essere utile la resistenza su posizioni di ragionevolezza. In Calabria è andata bene, hanno tre consiglieri a fronte dei due consiglieri di Berlusconi.
Alfano mostra una squadra di politici veri, da Sacconi a Cicchitto, da Formigoni a Lupi, da Quagliariello a Schifani, da Casini a Cesa, da Mauro alla Binetti. Il problema vero è che ci sono più capi che consenso, questo perché la buona politica non raggiunge il confronto con gli elettori, i quali si formano più sulle estremizzazioni che sul ragionamento.
Ma quello che abbiamo da considerare in questo grande astensionismo è che gli elettori non hanno interesse in quelli che gridano di più: Grillo è stancante, Salvini cavalca idee arretrate. Dunque si tenga il passo, andando fra il popolo a dare le spiegazioni necessarie. Mi sembra questo quello che ci fanno capire gli elettori.