“Se vuole continuare a contare, in Italia, il centrosinistra deve restare unito in un unico partito. L’Ulivo è stato un modello fallimentare e la scissione oggi sarebbe un disastro tanto per Renzi quanto per Civati e Fassina”. E’ l’analisi di Peppino Caldarola, ex direttore de l’Unità ed ex parlamentare dei Ds, a proposito del travaglio che sta attraversando il Pd nell’attuale fase. Di recente Rosy Bindi ha affermato che “se il Pd torna a essere il partito dell’Ulivo, che unisce e accompagna il Paese, non ci sarà bisogno di alternative. Ma se il Pd è quello di questi ultimi mesi, è chiaro che ci sarà bisogno di una forza politica nuova”.
Che cosa ne pensa delle parole della Bindi sull’Ulivo?
La stagione dell’Ulivo appartiene al passato. Il Pd del resto era stato presentato come l’evoluzione dell’Ulivo, cioè il passaggio tra due o più partiti e un partito unico che comprendeva tutti i riformisti. Tornare allo spirito dell’Ulivo significherebbe tornare a due partiti, cioè a una scissione con tutto ciò che comporta. C’è una mitizzazione dell’Ulivo, ma non dobbiamo dimenticarci che il primo Ulivo è andato incontro a un cambio di premier per tre volte. Mentre il secondo Ulivo, dopo le elezioni del 2006, si rivelò abbastanza fragile, al punto che dopo due anni Prodi cadde e la legislatura con lui.
Qual è l’identità del centrosinistra che lei vede per il futuro?
Renzi interpreta la vocazione maggioritaria, ma lo fa in un modo abbastanza singolare. Una vocazione maggioritaria comporta una cultura inclusiva, mentre Renzi tende a una cultura che esclude una parte della tradizione della sinistra. Se prevale il primo disegno è inevitabile che ci sarà una separazione che darà vita a “due piccoli mostri”. Da un lato nascerà un partito di sinistra forse più radicale di quanto sia Sel di Nichi Vendola.
E al Pd che cosa accadrebbe?
Il Pd diventerebbe una modesta formazione di centro priva di una forza politica reale. L’unica soluzione è che tutte queste anime trovino il compromesso per restare insieme. Una strada che è percorribile se Renzi sceglie la strada della tolleranza e del pluralismo interno, e se la minoranza la smette di considerarlo un usurpatore e un nemico.
L’idea della sinistra Pd è quella di una sinistra per vocazione minoritaria?
Penso che la loro idea non sia questa, ma sarà così nei fatti. Il tipo di sinistra identitaria che loro stanno proponendo può oscillare tra il 5 e il 10%. Finirebbe però per scontare un drammatico problema di alleanze, perché difficilmente la sinistra potrebbe entrare in coalizione con il partito di Renzi da cui si è separato. Questa è un’altra delle ragioni che può fare immaginare che la scissione sarebbe un disastro.
La sinistra Pd è la sponda politica dei sindacati?
E’ chiaro che il sindacato sta giocando un ruolo politico assai più forte e invadente di quello che giocò Sergio Cofferati quando era segretario. Non vedo però emergere un progetto, nel senso che quello della Camusso si basa solo sul contrasto del premier e per il resto è inesistente. Landini sembra interpretare di più la sinistra radicale con ambizioni di egemonia, ma quando dice di voler fare solo il sindacalista penso che dica la verità.
Quella evocata dalla Bindi è una sinistra conservatrice?
La Bindi non fa parte della sinistra, e parla di una tradizione che non è sua. La sua è una tradizione popolare e democratico-cristiana, probabilmente in un’area più a sinistra all’interno della Dc. Quindi stiamo parlando di un concetto che travalica l’esperienza personale della Bindi. La sinistra più identitaria rivendica alcune caratteristiche positive, ma il rischio oggi è quello di una forza politica che non parli ai giovani e che a quelli non più giovani sembri un déjà vu.
Renzi si sta mostrando capace di mediare tra le diverse anime del Pd?
L’atteggiamento di Renzi oggi è paragonabile a quello di Berlusconi quando nel 2010 ruppe con Fini. In entrambi c’è un’idea di onnipotenza, la convinzione di rappresentare da soli un elettorato ampio , ma manca la percezione del fatto che il mondo che si guida non è monolitico. Nel Pd confluiscono sensibilità molto diverse e presenze di leader differenti che non vanno messi ai margini.
Che cosa dovrebbe fare il premier?
La sinistra sta cercando di metabolizzare dei cambiamenti, e Renzi deve cercare di sollecitare questo processo. Invece talvolta Renzi sembra impegnato in una guerra etnica, come se fossimo agli albori dello scontro post-Jugoslavia. Il premier non può liquidare la sinistra come se fosse una componente estranea al suo progetto. Se fa questo, finirà inevitabilmente come in Emilia-Romagna: gli elettori di sinistra resteranno a casa.
La stessa sinistra Pd, evocando continuamente la scissione, non finisce per perdere credibilità?
L’atteggiamento della sinistra interna politicamente mi pare un po’ stupido. Si evoca la scissione e non la si fa, anche perché poi vorranno far credere che non sono loro ad andarsene ma che è l’altra parte che ha tradito. Altro sarebbe fare la scelta per la quale ha optato saggiamente Pier Luigi Bersani, il quale critica esplicitamente la segreteria, ma è altrettanto nettamente contrario alla scissione.
Quali sarebbero le conseguenze di una scissione?
Quando la sinistra Pd farà la scissione, un minuto dopo avrà il problema di chi sarà il leader. Quando i partiti di sinistra si scindono, la componente che se ne va poi si spacca ulteriormente in altri partiti di sinistra, perché ci sarà sempre un’ala più radicale che rimane insoddisfatta. E’ la storia dello Psiup rispetto al Psi e di Rifondazione comunista rispetto al Pds.
(Pietro Vernizzi)