“Dobbiamo evitare un rischio, perché c’è un disegno per dividere il mondo del lavoro. Ma non esiste una doppia Italia, dei lavoratori e dei padroni: c’è un’Italia unica e indivisibile e questa Italia non consentirà a nessuno di scendere nello scontro verbale e non solo, legato al mondo del lavoro”. Lo ha detto Matteo Renzi durante la sua visita a Brescia. Ne abbiamo parlato con Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera.
Per Renzi si vuole usare il lavoro per spaccare l’Italia. E’ veramente così?
Sulle questioni sociali il Paese si sta certamente spaccando. In questa lunga recessione finora le tensioni sociali non erano mai esplose al livello di guardia. E’ come se in questi anni avesse prevalso l’idea che la recessione chiamava in causa tutti e che quindi bisognava fare fronte comune. Non c’è dubbio che l’accelerazione che Renzi ha dato sul piano politico ha invece radicalizzato imprenditori e sindacati, finendo per metterli su sponde opposte. D’altra parte quando si sfida il potere del sindacato è inevitabile che questo provochi una reazione.
Il rischio di conflitto sociale legittima Renzi ad andare avanti?
Non credo che il governo debba condizionare la sua azione a un’approvazione sindacale. Molti di questi provvedimenti riguardano tutti gli italiani e quindi i sindacati non hanno un diritto di veto. Penso però che sia sbagliato il di più di aggressività e di polemica che Renzi ha messo in questo braccio di ferro, e che sembra più motivato da ragioni di consenso, per sfruttare l’impopolarità indiscussa di cui oggi i sindacati sono circondati.
Qual è stato esattamente l’errore di Renzi?
Ha sottovalutato la forza organizzativa e la presenza consistente che i sindacati continuano ad avere sui luoghi di lavoro. Il caso emblematico è quello di Landini, che sembrava un alleato di Renzi per rottamare il vecchio ed è stato spinto a diventarne il più grande avversario, al punto tale che se ne immagina il possibile utilizzo in politica per una sinistra radicale.
Secondo lei andiamo verso elezioni entro un anno?
Non ne ho idea. Renzi continua a smentirlo ogni volta che può e così fanno anche i suoi. Bisogna considerare il grande problema che non c’è una legge elettorale, perché è stata approvata solo da un ramo del Parlamento ed è applicabile solo alla Camera. La legge elettorale non solo non è stata fatta, ma non può essere completata finché non sarà portata a termine la riforma del Senato. Siamo quindi ben lontani dall’avere a disposizione lo strumento della legge elettorale.
Renzi ha attaccato il sindacato per mettere alle corde la minoranza del Pd?
Della minoranza del Pd a Renzi importa il giusto, cioè quasi nulla. La minoranza del Pd è numericamente debole e politicamente fragile e divisa. Il premier ha voluto fare un braccio di ferro con il sindacato, anche oltre quello che era necessario, adottando un atteggiamento di sfida e di provocazione il cui messaggio era in sostanza che il sindacato con conta nulla. In questo modo ha spinto il sindacato a lottare non più per l’articolo 18, ma per la sua stessa sopravvivenza, costringendolo a tirare fuori le unghie e i denti.
Dopo il rinvio a giudizio di Verdini, il patto del Nazareno di cui era garante finisce nei guai?
Mi auguro che Verdini smetta di essere non solo il garante, ma anche soltanto un contraente del patto del Nazareno. Non credo che Berlusconi debba necessariamente ricorrere a Verdini, né che Renzi possa ancora permettersi di vedere in Verdini una sorta di quinta colonna in Forza Italia. Ciò soprattutto alla luce di una situazione processuale che rende Verdini difficilmente digeribile come renziano di complemento. Penso quindi che il ruolo di Verdini si ridurrà.
Bankitalia è intervenuta sul Tfr. Quelle di Renzi sono riforme all’acqua di rose?
Sul Tfr sono molto d’accordo con l’obiezione di Bankitalia. Con questa legge di stabilità il governo sta compiendo due cose in totale controtendenza per il discorso che i precedenti esecutivi hanno fatto agli italiani negli ultimi 20 anni. Sappiamo che le pensioni del futuro non saranno come quelle dei nostri padri, tutti quelli che andranno in pensione con il contributivo prenderanno di meno di quanti lo hanno fatto con il retributivo. Negli ultimi 20 anni i governi avevano quindi invitato gli italiani a farsi la previdenza integrativa. Renzi ora fa l’esatto opposto, attraverso la riforma che incentiva a ritirare subito il Tfr e l’aumento della pressione fiscale sui fondi pensione.
(Pietro Vernizzi)