I siciliani hanno un nuovo governo regionale, anche se ciò in cui più speravano, il cambio del presidente, non è stato possibile. La velleitaria mozione di sfiducia a Crocetta non è passata, perché in tal caso sarebbero andati a casa anche tutti i deputati regionali. E a questo non credeva nessuno, nemmeno i 40 che l’hanno firmata. Tre governi in due anni, più precisamente 30 assessori in 23 mesi: certo un buon record, alla faccia della tanta invocata stabilità. Di questi alcuni sono in carica dall’inizio, altri sono rimasti anche solo pochi mesi: ma chi si sentirebbe di rinunciare a fare l’assessore negando così il proprio originale e insostituibile contributo allo sviluppo della Sicilia, seppur per un breve periodo e con poche possibilità di incidere?



Il Crocetta ter è anch’esso un governo di tecnici. Nessun politico; nessun deputato regionale dei novanta eletti. Evidentemente la competenza di cui dispongono è stata ritenuta insufficiente per gestire un assessorato regionale. Ma nell’era della spending review, quando tra non molto anche i genitori chiederanno ai figli conto e ragione di come hanno speso la paghetta settimanale, fare qualche conto su quanta costa ai siciliani avere assessori che non sono stati eletti all’Ars può essere utile.



Conti alla mano (in base alle nuove norme in vigore dal 2013), un deputato che assume l’incarico di assessore riceve, oltre alla sua indennità da parlamentare che gli spetterebbe comunque, una indennità aggiuntiva pari a quella di un presidente di commissione. E cioè 1.159 euro mensili, che moltiplicati per 12 assessori costano in un anno poco meno di 167mila euro di indennità di carica. Un assessore esterno, invece, costa quanto un deputato, cioè 11.100 euro al mese. E’ diversa nei due casi la tassazione, ma per ora su questo soprassediamo. Dunque, 12 assessori esterni costano in un anno un milione e 600mila euro. La differenza a scapito delle casse della Regione è di più di un milione e 400mila euro, che in 5 anni di legislatura fanno 7 milioni di euro di spese in più. Certo con questa somma non si ripiana il buco del bilancio regionale, non si pagano i salari dei precari; ma si potrebbero pagare un po’ dei debiti contratti con privati, banche e imprese e magari resterebbero gli spiccioli per tornare a fornire gli uffici regionali di cancelleria a sufficienza fino alla carta igienica, che scarseggia da tempo.



Ma veniamo ora alle competenze messe in campo dai dodici assessori. Prima le due riconfermate: Lucia Borsellino alla Salute e Linda Vancheri alle Attività produttive. Entrambe hanno trovato unanime sostegno nei partiti che reggono la Giunta. La Vancheri, tra l’altro, rappresenta la Confindustria siciliana colonna portante del governo Crocetta e, dunque, non poteva essere messa in discussione.

Abbiamo poi: Vania Contrafatto, un magistrato della Procura di Palermo, che va all’assessorato all’Energia; Bruno Caruso è un giuslavorista che ricoprirà l’incarico di assessore al Lavoro; Cleo Li Calzi, esperta di fondi strutturali, servizio reso già nei precedenti governi Lombardo, va a riempire la casella del Turismo; a Maurizio Croce, geologo, è stato riservato l’assessorato Territorio e Ambiente; Antonio Purpura, docente universitario, esperto in economia del turismo, dovrà “accontentarsi” di gestire i Beni culturali; Marcella Castronovo, che è stata dirigente nella segreteria del Consiglio dei ministri, di origine catanese, andrà alla direzione dell’assessorato alla Funzione pubblica; Mariella Lo Bello, già segretaria provinciale della Cgil di Agrigento e assessore in un precedente governo Crocetta, dopo aver diretto la segreteria particolare dello stesso presidente, torna nel ruolo di assessore, per dirigere la Formazione professionale; Giovanni Pizzo, che è stato il capo della segreteria tecnica del precedente assessore alle Infrastrutture, ne continuerà l’opera nel medesimo assessorato; mentre l’avvocato penalista Nino Caleca si cimenterà con l’assessorato all’Agricoltura.

Ultimo posto, ma primo per importanza, il neo assessore all’Economia, Alessandro Baccei, inviato dal governo nazionale per “aiutare” la Sicilia a far quadrare i conti di un bilancio regionale in rosso ormai da molti anni. L’ingresso del “commissario inviato da Roma” è certamente il dato più innovativo di questo nuovo Governo, oltre alla “ritrovata concordia” tra Pd, le sue anime, Crocetta e gli altri partner della maggioranza. Crocetta ci ha tenuto a precisare che “Sono stato io a chiedere al governo nazionale di suggerire un nome. La scelta di Baccei è stata concordata. Per questo motivo non mi sento affatto commissariato”.

L’accordo trovato a Roma tra Crocetta e Renzi prevedrebbe un impegno del Governo ad aiutare la Sicilia a risanare il proprio bilancio attraverso un piano di rientro di numerosi lustri (forse 5 o 6) attraverso quello che oggi Baccei ha definito “Tagli agli sprechi e utilizzo dei risparmi per il lavoro e lo sviluppo”. Ma il nuovo assessore si troverà nella scomoda posizione di essere, per dirla in termini sindacali, “parte e controparte”. Infatti, nessuno nega che gran parte del debito regionale è frutto della gestione “spensierata” degli anni e dei decenni precedenti, ma tutti sanno che il barile non può essere raschiato oltre misura. Nessuna spending review, neppure la più rigorosa, può consentire in breve tempo il recupero dei tre miliardi di buco che sono oggi parte fondamentale del bilancio della Regione. Da quando alcuni giorni fa è stata resa nota la difficile situazione in cui versano gran parte della Regioni italiane, a causa dei tagli operati negli ultimi anni dai governi Monti, Letta e ora Renzi, la Sicilia si trova in buona compagnia con regioni insospettabili, come ad esempio, il Piemonte 

Ed ecco un sintetico resoconto della situazione siciliana. Nel 2013 il governo nazionale ha inviato in Sicilia 915 milioni di euro in meno. Quest’anno siamo giunti a 1 miliardo e 150 milioni di euro. In totale, quindi, circa 2 miliardi di euro in meno. Tutto questo mentre la stessa Regione siciliana presenta un indebitamento complessivo pari a circa 6,7 miliardi di euro. A complicare tutto ha pensato il presidente della Regione, Rosario Crocetta, che la scorsa estate ha siglato un accordo-capestro con il governo nazionale, rinunciando a contenziosi con lo Stato pari a circa 5,4 miliardi di euro. In cambio lo Stato si è impegnato a versare alla Regione 550 milioni di euro, che non sono mai arrivati. Più sinteticamente: lo Stato ha trattenuto in totale più di 2 miliardi; la Regione paga rate di mutui di un debito di circa 6,7 miliardi; il buco di quest’anno è di circa 3 miliardi. Per finire, lo Stato non ha ancora versato i 550 milioni di euro che si è impegnato a versare quest’anno.

Ovviamente la situazione contabile è più complessa, ma questi dati confermano che tutto il male non sta nel malgoverno degli ultimi anni. Siamo ormai in una deriva istituzionale che consente, anche ad esponenti di governo, di affermare serenamente che bisogna chiudere non solo le Provincie, ma anche le Regioni. Forse la Sicilia, in barba al suo statuto autonomistico, divenuto ormai un documento storico da studiare all’università, potrebbe essere la prima Regione in cui nei fatti governa lo Stato, anche se nella forma rimane apparentemente tutto com’è. Insomma una nuova forma di centralismo, ben celato sotto le forme del più tradizionale decentramento.

Nella terra del Gattopardo anche questa potrebbe essere definita una rivoluzione, seppur all’incontrario. Staremo a vedere. Prima di Natale sarà tutto più chiaro, speriamo ….. anche i conti dei siciliani.