“Civati sbaglia a parlare di scissione dal Pd. La sinistra italiana merita di trovare espressione all’interno di un grande partito, e non in una nicchia per pochi appassionati”. Lo afferma Alfredo D’Attorre, deputato della minoranza Pd, commentando le parole del collega di partito intervenuto all’iniziativa dell’associazione “E’ Possibile” a Bologna. Per Pippo Civati, “se Renzi si presenta con il Jobs Act e con le cose che sta dicendo alle elezioni a marzo, noi non saremo candidati con Renzi”. Nel corso dell’assemblea nazionale del Pd sono stati usati toni duri, con Fassina che si è rivolto al segretario con le parole: “Se vuoi il voto dillo”.



Onorevole D’Attorre, perché non è d’accordo con Civati?

Nel caso in cui si voterà a marzo credo che la scissione sia un grave errore. Non sarà in ogni caso la scelta che faranno tanti di noi. Il nostro obiettivo è piuttosto ricostruire una sinistra forte nel Pd e anzi ricollegare il Pd con un mondo ampio della sinistra e del lavoro. Sarebbe un errore relegare la sinistra e le istanze del mondo del lavoro in un piccolo cantuccio, lasciando il Pd a Renzi, senza contrastare una possibile mutazione di questo partito in chiave moderata.



Perché, insieme agli altri deputati della minoranza Pd in commissione Affari costituzionali, ha chiesto di farsi sostituire per non mandare sotto il governo sulle riforme?

Attraverso questa scelta abbiamo segnalato un clima di forte disagio e il fatto che non si sta seguendo un sano metodo parlamentare nella revisione della Costituzione.

Quali conseguenze possono avere le liti nel Pd sul processo delle riforme?

Il processo delle riforme lo mettiamo in sicurezza se consentiamo al Parlamento di svolgere la sua funzione. C’è una condivisione dei pilastri fondanti della riforma costituzionale se si consente un sano lavoro parlamentare che dovrebbe rappresentare un principio democratico indiscutibile in materia di revisione costituzionale. Ciò può solo favorire e accelerare l’iter delle riforme. Quello che rischia di rallentare le riforme è una rigidità del governo che interviene con potere di veto su punti che potrebbero essere tranquillamente lasciati alla libera dialettica parlamentare semplicemente per garantire il metodo del patto del Nazareno. Le riforme le facciamo meglio e più velocemente se sostituiamo al metodo del Nazareno il metodo parlamentare.



Le riforme costituzionali si possono fare anche senza Berlusconi?

Sì, anzi con questo metodo si può perfino allargare il consenso sulle riforme sia alla Camera sia al Senato. Se si mantiene l’intesa tra le forze politiche attorno ai quattro pilastri essenziali delle riforme che Renzi ha indicato fin dall’inizio, e su questo si garantisce il rispetto degli accordi, affidando al lavoro del Parlamento il miglioramento degli altri punti, si può costruire un clima di condivisione molto più largo sia in Commissione che in aula.

 

In fondo il governo Renzi non è nato proprio sulla base del Patto del Nazareno?

A dire il vero il governo Renzi ha una maggioranza che non comprende Forza Italia. Si dice giustamente che le riforme costituzionali non si fanno solo sulla maggioranza di governo, ma Forza Italia non è l’unica opposizione. Se si allargasse l’interlocuzione ad altre forze politiche, anche solo su singoli punti, ciò migliorerebbe molto il clima in Parlamento e avrebbe l’effetto di facilitare l’iter, senza consegnare a Berlusconi un potere di interdizione su ogni singolo politico.

 

Per Renzi, “se non facciamo le riforme ci condanniamo a un lento declino”. Non è paradossale che il premier parli di riforme come se ad attuarle dovesse essere qualcun altro?

Il governo deve essere totalmente impegnato sulle riforme economiche e sociali che stanno nel programma della maggioranza. Su temi come la riforma costituzionale e la legge elettorale va invece ristabilita una centralità del Parlamento, così come sempre è stato.

 

Il governo latita sulle riforme economiche?

Il Jobs Act va purtroppo nella direzione opposta a quella che sarebbe giusta e necessaria. Rischia di produrre un incentivo a licenziare e a sostituire i lavoratori per il combinato disposto che si crea tra il superamento dell’articolo 18 e la decontribuzione alle assunzioni anche se non aggiuntive. Rischia inoltre di aumentare la precarietà del lavoro e la compressione dei salari.

 

(Pietro Vernizzi)