“Berlusconi ha ceduto per l’ennesima volta alle pressioni di Renzi con la speranza illusoria di ottenere qualcosa quando si andrà a eleggere il nuovo capo dello Stato”. Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, analizza così la svolta di ieri dopo le tensioni dei giorni scorsi. Il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, ha affermato che “sui tempi c’è sempre intesa con Forza Italia. Il calendario prevede che l’8 gennaio saremo in aula alla Camera con la riforma costituzionale e contemporaneamente al Senato procediamo con la legge elettorale”. Berlusconi aveva chiesto di votare prima per il capo dello Stato e solo in un secondo momento su legge elettorale e riforma del Senato. Alla fine però si è deciso di non attendere le “imminenti” dimissioni di Napolitano e di calendarizzare subito le votazioni in aula sulle riforme. Il capo dello Stato parlando al corpo diplomatico ha inoltre speso parole lusinghiere per “l’opera portata avanti dal presidente Renzi e dal governo, un coraggioso sforzo per eliminare alcuni nodi e correggere mali antichi che hanno frenato lo sviluppo del Paese e sbilanciato la struttura della società italiana e del suo sistema politico”.



Come si spiega questi continui endorsement di Napolitano a Renzi?

Non mi stupiscono, in questi nove anni Napolitano si è sempre preoccupato della stabilità politica che ha considerato un bene superiore. A suo tempo protesse persino i governi Berlusconi dal rischio instabilità. Il capo dello Stato ritiene che garantire la stabilità politica sia uno dei compiti fondamentali che gli spettano, in quanto valore fondamentale anche a livello internazionale, in Europa e nei confronti dei mercati.



Non le sembra che su Renzi stia scommettendo in modo particolare?

Napolitano investe il governo Renzi di una speranza, in quanto è convinto che porterà a compimento quelle riforme in nome delle quali aveva accettato di fare un secondo mandato da capo dello Stato. E in questo modo di non considerare vani tutti gli appelli che ha compiuto negli ultimi due anni che ha passato tra molti tormenti, anche per attacchi volgari come quello di ieri da parte di Grillo.

Che cosa accadrà durante l’elezione del nuovo presidente della Repubblica?

Il ministro Boschi ha confermato ciò che in molti si aspettavano, e cioè che si sarebbe raggiunto un accordo in extremis tra Forza Italia e Renzi. Berlusconi non chiede più di votare prima per il Quirinale e poi sulle riforme. Il Cavaliere dimostra così di avere ceduto per l’ennesima volta alle pressioni di Renzi, con il miraggio di poter essere decisivo nella scelta del capo dello Stato.



 

Secondo lei andiamo verso un’elezione del capo dello Stato ad ampia maggioranza o una prova di forza?

O andiamo verso un’elezione del capo dello Stato a grande maggioranza o sarà un Vietnam. In Parlamento non ci sono maggioranze robuste e strutturate come è stato tante volte in passato. La maggioranza di governo è molto spuria e all’interno del partito di maggioranza relativa c’è una fronda numerosa. O c’è un grande accordo o avremo una serie di votazioni molto rischiose. Tendenzialmente penso quindi che avremo un grande accordo.

 

Come vede la partita per i decreti attuativi del Jobs Act?

E’ inevitabile che il governo presenti almeno la parte fondamentale di questi decreti entro il 31 dicembre. Come ha detto lo stesso Renzi, dal 1 gennaio dell’anno prossimo entreranno in vigore gli sgravi fiscali per le assunzioni a tempo indeterminato. E’ cruciale quindi che per quella data si conoscano le condizioni introdotte dal Jobs Act, altrimenti gli imprenditori non assumeranno.

 

Renzi ha i numeri in Parlamento per approvare i decreti?

I decreti delegati non hanno bisogno di numeri perché non saranno votati in aula. Una volta che il Parlamento dà al governo il mandato di legiferare, il consiglio dei ministri fa i decreti delegati che non vanno più in aula ma soltanto alle commissioni Lavoro di Camera e Senato per un parere consultivo non vincolante.

 

Juncker ha detto: “Ho fiducia nelle riforme strutturali promesse da Renzi”. Come valuta questa apertura?

E’ il solito gioco europeo: prendono in parola le riforme di Renzi ma vogliono vederle attuate. Per esempio come dicevamo il Jobs Act aspetta ancora i decreti, la legge elettorale non c’è ancora, la riforma del Senato ha i suoi tempi e se tutto va bene sarà pronta tra un anno. Il senso delle parole di Juncker è quindi che apprezza questo sforzo riformatore ma lo vuole vedere alla prova.

 

(Pietro Vernizzi)