Il 2014 volge al termine, e seppur con la testa alle vacanze natalizie, è importante sfogliare e ricordare cos’è capitato e cos’ha riguardato l’Italia, il “fu Bel Paese”. A inizio 2014 abbiamo la staffetta al ruolo di Premier italiano tra Enrico Letta e Matteo Renzi, un avvicendamento veloce e imprevisto sino a poche settimane prima tra due Presidenti del Consiglio non avallati dalle urne ma da manovre di Palazzo. Tuttavia, mentre Enrico Letta è da tempo un uomo politico che frequenta il potere centrale ed è un fedelissimo del candidato Premier di centrosinistra Bersani, Renzi ha scalato dapprima il Pd, poi ambito al ruolo di Premier con metodi e toni ben poco cortesi ed eleganti – il suo hashtag #Enricostaisereno ancora riecheggia in internet come una macchia indelebile nella credibilità della persona prima ancora del politico.



Renzi promette decisionismo, velocità, riforme, in occasione della sua proclamazione ne elenca numerose da votare e rendere operative, con cadenza mensile, sarà il primo atto di quella “annuncite” che non abbandonerà più il Premier in ogni occasione pubblica nella quale dimostra di saper affabulare con l’arte della retorica, essere più veloce di un pianista a twittare su internet, ma essere politicamente più inconcludente di un Luther Blisset sotto-porta.



Nel frattempo mentre il programma “supercazzola” di Renzi (copyright by M. Travaglio) prosegue, il Paese è sconvolto da un susseguirsi di inchieste giudiziarie che ne scoperchiano il diffuso e mai scalfito malaffare che ne compromette sempre più la credibilità sia a livello internazionale, ma soprattutto verso i cittadini italiani onesti che si destreggiano tra tasse e balzelli sempre crescenti, perdita del posto di lavoro, difficoltà ad arrivare a fine mese, in un cortocircuito di rabbia e depressione le cui conseguenze sono ancora tutte da riscontrare nel prossimo futuro.

Il semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea si sta per concludere nel disinteresse generale dei media italiani, ma giova ricordarne l’apertura, con un indimenticato intervento del Premier Renzi che, anziché concentrarsi sui reali problemi strutturali dell’Europa, divaga sui massimi sistemi, tirando in ballo Telemaco, tra l’ironia e la delusione degli intervenuti dal resto d’Europa per ascoltarlo. Ciò spiega perché pochi mesi dopo l’Economist raffigurerà il nostro Premier come un bimbo con il gelato in mano su di una barca (l’Europa) che affonda.



Quando qualcosa di concreto e immediato deve essere fatto, Renzi e i pezzi grossi del calcio italiano e dell’ordine pubblico battono in ritirata, in occasione della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, scoppiano disordini plurimi nei dintorni dello stadio di Roma, all’interno dello stesso la tensione è alle stelle, i tifosi napoletani capitanati dal loro leader “Genny a’carogna” non permettono lo svolgimento della partita se prima non hanno rassicurazioni in merito alle voci che si rincorrono sulla possibile morte di un tifoso napoletano (il quale, gravemente ferito, purtroppo spirerà tempo dopo). 

Il capitano del Napoli, alti funzionari delle forze dell’ordine e chissà chi altri, vanno in pellegrinaggio al cospetto di “Genny” per informarlo, ammorbidirlo nei suoi intenti di bloccare il gioco, e rassicurare tramite lui tutta la tifoseria partenopea, arrabbiata e minacciosa. Nel frattempo Renzi e i capi del calcio italiano, come altre “autorità”, se ne stanno sdraiati sulle loro comode e regali poltrone o a passeggio mani in tasca lungo la tribuna autorità, disinteressati a quanto avveniva ma impazienti che iniziasse la partita per potersi finalmente godere il divertimento dell’ultima sfida pallonara della stagione. Sono stati accontentati con un po’ di ritardo grazie all’intercessione di “Genny”, l’unico che non aveva poltrona regale sulla quale sedersi né mani in tasca: è passato per un personaggio cattivo, losco, negativo, ma che dire di quelli in tribuna autorità? Hanno dimostrato la loro autorità? O meglio, hanno dimostrato anche solo di essere uomini? L’ignavia è un peccato tanto quanto la collera e l’ira, ma al di là del ruolo professionale e sociale che si ricopre e del rango nella scala sociale, un uomo, se è tale, gli attributi li deve mostrare nel momento del dovere… non pervenuti!

Dal Mose all’Expo, sino ai recenti fatti dell’inchiesta di “Mafia Capitale”, oramai si ha la certezza che in questo Paese il malaffare è capillare, trasversale tra le forze politiche, incistato proprio nel cuore della politica e del mondo degli affari, e che dell’onesto cittadino non si curano, anzi ne approfittano e se ne fanno beffe. I nomi implicati in questi scandali sono già noti alla cronaca giudiziaria e alla cronaca nera da decenni, rimandano a un passato mai del tutto terminato che riporta al terrorismo, agli omicidi e alle tangenti, come se il tempo si fosse fermato, come se fosse la disonestà ad avere dignità e considerazione sociale. 

Come nel caso della finale di Coppa Italia, anche qui i politici, da destra a sinistra (ma ha ancora senso fare questa distinzione?) andavano in pellegrinaggio da faccendieri e loschi affaristi plurindagati, plurinquisiti e, talvolta, pluricondannati, per ottenere favori, potere, denaro.

A quanto detto si affiancano i dati macroeconomici del Paese, e non c’è altro da fare che disperarsi: il debito pubblico italiano è stimato dal Fondo monetario internazionale quasi al 137% del Pil, 5 punti percentuali in più rispetto alle previsioni del governo italiano, e la Banca d’Italia ha comunicato che a ottobre il debito pubblico italiano è tornato a crescere, aumentato a oltre 2.157 miliardi di euro, mentre sale ancora il numero dei disoccupati, infatti a ottobre i senza lavoro, secondo i dati provvisori dell’Istat, sono 3 milioni 410 mila, attestandosi così al 13,2%.

E ancora, per non farci mancare nulla, è di poche settimane fa la pubblicazione del Corruption Perception Index 2014 di Transparency International, che riporta le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione di 175 paesi del mondo. L’indice 2014 colloca il nostro Paese al 69esimo posto della classifica generale, come nel 2013, fanalino di coda dei paesi del G7e ultimo tra i membri dell’Unione europea. Rispetto al passato, l’Italia ferma la sua rovinosa discesa verso il basso della classifica, ma resta maglia nera tra gli Stati occidentali. Anzi peggiora la sua situazione complessiva in Europa, dato che Bulgaria e Grecia la raggiungono al 69esimo posto, migliorando la loro posizione in classifica. Adesso dietro all’Italia, in Ue, non c’è più nessuno.

Nel frattempo, vista la drammatica situazione economico-sociale del Paese, la società di rating Standard&Poor’s declassa l’Italia a livello “BBB-“, che significa essere un solo livello sopra quello di “junk”, spazzatura, riferito alla credibilità del Paese a livello internazionale. E come dargli torto. Non avevamo certo bisogno delle analisi dei super-analisti di cotanta agenzia di rating internazionale per renderci conto di come si è sgretolata la credibilità della società italiana non solo agli occhi degli stranieri, ma pure ai nostri di persone oneste. 

Forse un tempo, nel Secondo dopoguerra lo è stato, ma ora, se questo è un Bel Paese…

 

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