A 40 giorni dall’apertura delle urne dei grandi elettori, la via per il Quirinale è ostruita da una nebbia fittissima. Niente di strano, tutto normale per la corsa più complicata e imprevedibile della politica italiana. Eppure mai con questa volta l’incertezza genera fibrillazioni capaci di indebolire un governo sulla carta solido e stabile.
Per Matteo Renzi questa è la prova della maturità. Deve dimostrare di essere all’altezza della gestione di questa partita, deve far vedere di essere superiore a quel Bersani che proprio sul Quirinale andò a schiantarsi, politicamente parlando.
E qui si ricomincia dal nome su cui tutto saltò per aria nell’aprile del 2013, quello di Romano Prodi. In una lista chilometrica di una trentina di nomi, che sembra fatta apposta per confondere le acque, il nome del professore bolognese è uscito forse troppo presto per risultare vincente. Chiunque abbia letto del via libera di Berlusconi al suo arcinemico si è posto più di una domanda. Perché, e perché proprio in questo momento.
La smentita secca dell’entourage azzurro fa capire che l’uscita di Repubblica è stata quantomeno intempestiva, e lascia intendere che la partita è ben lontana da essere chiusa. Una lettura particolarmente malevola vuole che dietro il tentativo di accreditare Prodi vi siano alcuni ambienti cui l’elezione dell’ex premier e fondatore dell’Ulivo sarebbe assai gradita. E in questo gruppo sarebbe ricompreso anche l’editore di Repubblica.
Ma sulla strada di Prodi vi sono moltissimi ostacoli. Il primo è costituito dalle perplessità di Renzi, assai poco propenso ad accettare sul colle più alto un capo dello Stato con un’esperienza politica assai superiore alla sua, e per di più con un curriculum internazionale sterminato. Non a caso continua a circolare l’ipotesi di un pieno appoggio alla candidatura di Prodi come segretario generale delle Nazioni Unite, quando scadrà il mandato di Ban Ki Moon. In fondo, su quella poltrona un europeo manca addirittura dal 1981, quando terminò il mandato di Kurt Waldheim.
Va ricordato poi che Prodi ha molti nemici proprio dentro il Partito democratico. I 101 che lo impallinarono nel segreto dell’urna venti mesi fa stanno lì a dimostrarlo, e nulla può garantire che la storia non possa ripetersi. Anzi, questo è il principale incubo che tormenta Renzi, il timore che il suo Pd non rimanga compatto, che si consumino attraverso il voto segreto tutte le vendette per le forzature degli ultimi mesi, dal Jobs Act alla legge di stabilità, dall’Italicum alla riforma della Costituzione.
C’è poi l’incognita Berlusconi. Se il leader di Forza Italia dovesse far cadere il suo storico veto, questo non potrebbe che avvenire di fronte alla promessa di un sostanziale riconoscimento del proprio ruolo politico. Un prezzo politico alto, assai più alto di qualunque altra candidatura. Che si chiami grazia o in altro modo, è questione secondaria.
Anche Berlusconi però deve fare i conti con le crepe all’interno del suo partito. Dei 130 grandi elettori azzurri realisticamente è convinto di poterne controllare una novantina, o poco più. Gli altri rispondono a Raffaele Fitto. Per ora però, mani libere e carte coperte, come testimoniano le parole di Giovanni Toti che da una parte nega veti assoluti, e dall’altra bolla Prodi come non imparziale, non adatto a fare da arbitro. Fine della discussione, almeno per ora.
E Renzi fa eco, criticando chi ha infilato il nome di Prodi nel tritacarne dei retroscena, e promettendo un nome capace di unire, che sia autorevole e di garanzia. Non sarà affatto facile. Alla fine, però, potrebbe anche essere che due debolezze possano unirsi e conseguire un risultato positivo, compensando i rispettivi franchi tiratori.
Le incognite però sono ancora più numerose e complesse. C’è la Lega che si chiama fuori, e che costituisce una minaccia per Berlusconi. Ci sono stime di un ulteriore -2% per Forza Italia in caso di eccesso di accondiscendenza alla volontà del presidente del Consiglio. Il leader di Forza Italia non potrà lasciare troppo spazio a Salvini, che già affila le armi per approfittare dell’occasione e incrementare ancora i consensi del Carroccio.
C’è poi da considerare il Movimento 5 Stelle e quale seguito avranno i segnali lanciati a più riprese di disponibilità a entrare nella partita. Non quindi l’Aventino pregiudiziale della prima elezione presidenziale cui parteciparono i grillini. Difficile però capire se questo potrà incrinare l’asse privilegiato fra Renzi e Berlusconi. Se così fosse, cambierebbero molti equilibri, non solamente nella corsa per il Quirinale, ma anche nel prosieguo della legislatura.
Troppo difficile oggi fare previsioni sul finale di partita. Questo è il momento delle cortine fumogene e dei depistaggi. Come per il conclave, quasi sempre chi entra papa, esce cardinale. E le carte oggi è bene che rimangano coperte, con l’unica certezza che a distribuirle sarà Matteo Renzi.