Perché nessuno (da Silvio Berlusconi agli avversari del Nazareno nel Pd) crede all’impegno di Matteo Renzi di non puntare alle elezioni anticipate a primavera? Eppure il presidente del Consiglio ha dichiarato nel modo più solenne — di fronte alle Camere e al capo dello Stato — che egli vuole arrivare alla scadenza naturale e comunque esclude il voto nel 2015. Ma tra i motivi che hanno indotto Giorgio Napolitano ad annunciare le dimissioni a breve primeggia appunto l’indisponibilità a firmare uno scioglimento anticipato delle Camere e in Parlamento si sta preparando addirittura una legge che vieti a Renzi di votare nel 2015 con il nuovo sistema maggioritario.
Alla base del diffuso sospetto c’è il dato che il premier ha il vento in poppa, ma il tempo non sembra giocare a suo favore.
Matteo Renzi domina saldamente la scena in quanto, nonostante le difficoltà, non registra alternative di leadership e di coalizione né sulla destra né sulla sinistra. Anche se i sondaggi rilevano una flessione di consensi alla sua persona non si hanno però spostamenti a favore degli oppositori ed il Pd consolida il balzo delle europee registrando sempre il 38-40 per cento. Sia Beppe Grillo sia Silvio Berlusconi sono ancora lontani dal delineare liste concorrenti per un premio di maggioranza e vedono i contestatori interni al proprio partito più numerosi e baldanzosi.
A mettere in fibrillazione la tenuta della legislatura è soprattutto il comportamento del leader del Pd e del governo. Egli non si sta concentrando su un piano di interventi, su una catena logica di provvedimenti per la crisi economica, ma continua a saltellare da un campo all’altro: dalla legge elettorale all’economia, alle riforme costituzionali tra decreti delegati e provvedimenti che ora vengono parcheggiati e dimenticati in qualche commissione o ramo del Parlamento ed ora vengono riportati in scena. Soprattutto inquieta il modo di giocare a nascodino con i dati negativi sulla crisi che continua. Se l’Istat avverte che la disoccupazione cresce, Palazzo Chigi replica baldanzosamente che le assunzioni sono aumentate. E cioè fa un bilancio evidenziando le entrate ed omettendo le uscite. Se Standard & Poor’s declassa l’Italia replica “lo sapevo”: una notizia per lui vecchia, scontata con contromisure già in tempo e da tempo predisposte. “Dovremo accelerare” è il rassicurante commento del premier.
E’ un modo di reagire che ritrae un premier impegnato a tenere a bada le notizie sul piano mediatico, ma lo scenario che prende sempre più forma non è quello di un 2015 che festeggi una ripresa. Il commissariamento di fatto da Bruxelles incombe sempre più anche perché il modo in cui Renzi ha gestito il semestre della presidenza italiana presenta un bilancio abbastanza infelice: un sostanziale isolamento con perdita di contatti da Hollande a Cameron e una maggiore subalternità al nuovo presidente Juncker, che appare non solo incontrollato da parte italiana, ma anche ostile.
L’elenco delle sconfitte è presto fatto. 1. La Mogherini, contrariamente a quel che ha raccontato Renzi, non è il “numero due” della Commissione e su ciò che interessa l’Italia non conta nulla. Inoltre il suo esordio come Lady Pesc in Medio Oriente è stato un disastro: con la formula “Gerusalemme capitale di due Stati” ha riscosso il plauso di Hamas, ma ha rotto con Israele azzerando in partenza un ruolo di mediazione dell’Unione europea. Di conseguenza Juncker ha richiamato il suo predecessore, Catherine Ashton, per affiancare (e di fatto sostituire) la Mogherini nelle trattative con l’Iran quando ci sono gli incontri tra ministri degli Esteri.
2. Il piano di investimenti da 300 miliardi che Renzi ha detto di aver imposto è un’ipotesi che vede lo stanziamento solo di 21 miliardi (16 tra Parlamento e Commissione più 5 della Bei). Dato che si era detto da mesi che doveva essere di 300, la soluzione degli “euroburocrati” vantata da Renzi è consistita nella semplice moltiplicazione per 15 immaginando che gli altri 280 arriveranno dai privati. Su che base?
3. “Il tempo delle maestrine è finito” aveva proclamato Renzi a Strasburgo all’esordio della sua presidenza che ora conclude invitando Angela Merkel a gennaio a Roma nella speranza che ci aiuti in vista dell'”esame di riparazione” che avremo a marzo con la Commissione di Bruxelles.
Evidentemente il tempo non sembra giocare a favore di Renzi.
E’ in questo quadro che si delinea lo scontro per il Quirinale. L’ex sindaco di Firenze ha assoluto bisogno di un presidente di “serie B” che lo emancipi dal regime di “coabitazione” impostogli da Napolitano. Infatti nella tabella di marcia di Renzi prima c’era il Parlamento rinnovato e poi l’elezione presidenziale con una platea a maggioranza renziana grazie ad una nuova legge maggioritaria. Il pericolo per Renzi è un presidente della Repubblica di una qualche autorità e quindi un po’ autonomo, non “amico” e cioè che nei prossimi mesi, nel caso di crisi per elezioni anticipate, possa esercitare le sue prerogative costituzionali nominando un governo elettorale “di garanzia” ovvero non più guidato da Renzi; giunto a Palazzo Chigi — non dimentichiamolo — con il voto della direzione di un partito.