Come un ciclone travolge tutto quello che incontra sulla sua strada, così l’inchiesta “Mafia Capitale” rischia di finire per avere un’influenza determinante persino sul punto più controverso della riforma della legge elettorale, che è giunta in commissione al Senato al tornante decisivo, le preferenze. 



Da Palazzo Chigi è giunto un imperativo categorico: il sì in commissione deve arrivare entro il 23 dicembre, quello dell’aula entro fine gennaio, prima — è l’auspicio — delle dimissioni di Giorgio Napolitano. Rispettare una tabella di marcia tanto stringente non sarà facile, anche perché il Senato è anche alle prese con il secondo passaggio della legge di stabilità, che ha ovviamente la precedenza. 



Matteo Renzi ha cambiato più volte le carte in tavola da quel 18 gennaio quando strinse il patto del Nazareno con Silvio Berlusconi. La relatrice Anna Finocchiaro ha pronti gli emendamenti che recepiscono il Nazareno bis, e che il leader di Forza Italia ha faticato non poco a digerire. Con essi la soglia per accedere al premio di maggioranza al primo turno s’innalza dal 37 al 40%, mentre scende al 3% lo sbarramento per ottenere seggi nella futura Camera dei deputati. Ciò che però è più significativo è che il premio non andrà più a una coalizione, ma alla lista più votata.

Su questi tre punti il sì di Forza Italia è garantito da Berlusconi stesso, e non dovrebbero esserci problemi. Sul premio alla lista persino la Lega è d’accordo, anche perché non nasconde l’ambizione di correre da sola e fare il colpaccio. 



Visto il vento che gonfia le vele del Carroccio salviniano, il pensiero nemmeno tanto recondito dalle parti della milanese via Bellerio è che una Lega solitaria (con costola meridionale) potrebbe persino raccogliere più voti di 5 Stelle e Forza Italia, ritenuti in caduta libera, di idee e di consensi. Era pura follia pensarlo un anno fa, quando Salvini divenne segretario battendo Bossi alle primarie. Oggi la spinta è tale da non esserlo più. Ad avvalorare la tesi anche il riconoscimento del ruolo politico del Carroccio che viene quasi quotidianamente dai democratici, cui un ballottaggio fra i due Matteo, Renzi e Salvini, sembra ad oggi la migliore delle ipotesi possibili. Valutazioni che potrebbero però anche rivelarsi fallaci.

Per quanto riguarda la legge elettorale ci sono però almeno tre problemi ancora irrisolti. Il primo riguarda il meccanismo di scelta dei parlamentari, su cui l’effetto Roma potrebbe essere determinante. Le preferenze sono diventate di nuovo improponibili, perché terreno fertile del malaffare e dei gruppi criminali. Nello stesso giorno si sono trovati su questo in perfetta sintonia tanto Renzi quanto la fedelissima di Berlusconi Maria Rosaria Rossi. Il sistema misto in discussione, quindi, non si tocca, nonostante le perplessità. Ciascun partito indicherà il capolista in un centinaio di collegi di piccole dimensioni, che eleggeranno in media sei deputati ciascuno. 

Per il resto della lista, si esprimeranno le preferenze. Per via del premio di maggioranza però, quasi esclusivamente il partito vincente avrà una parte dei suoi deputati eletti con le preferenze. Tutti gli altri difficilmente avranno più di un eletto per collegio. Gli esperti hanno calcolato solo 240 eletti con le preferenze su 630.  C’è chi paventa dubbi di costituzionalità, sulla base della sentenza della Consulta che ha bocciato il Porcellum (la n. 1/2014), ma tant’è. Per il momento l’accordo fra Forza Italia e democratici sembra blindato.

Non c’è alcun accordo, invece sugli altri due nodi irrisolti, a cominciare dall’entrata in vigore dell’Italicum riveduto e corretto. Renzi è disposto a inserire una clausola temporale, la data del 1° gennaio 2016. Ma per chi tema che il premier voglia andare al voto al più presto, e sono in molti, non basta. Da qui la proposta di Roberto Calderoli, autentico marpione della materia, di un ordine del giorno per legare l’entrata in vigore della nuova normativa elettorale al percorso delle riforme istituzionali, a quando cioè sarà stabilito che il Senato non sarà più eletto direttamente dai cittadini. 

Del resto, se la proposta Calderoli non fosse accolta si arriverebbe senza rete all’ultimo nodo, forse il più intricato: il rischio di avere per parecchi mesi una legge nuova in vigore per la Camera e un vuoto normativo per quanto riguarda il Senato, in attesa della sua trasformazione. Sul tappeto ipotesi diverse, dalla semplice applicazione di ciò che del Porcellum è rimasto, dopo le sforbiciate della Corte, sino a una norma ponte che estenda al Senato il meccanismo della Camera, sino all’entrata in vigore delle nuove norme costituzionali che ne mutano la fisionomia. Pare una questione di lana caprina, ma non lo è, perché la legge elettorale appartiene alla categoria delle norme obbligatorie: una legge che deve essere sempre in vigore, perché il parlamento può essere sciolto in qualsiasi momento. La battaglia sul calendario e sulla definizione della fase transitoria appare quindi assai più politica di quanto non si possa immaginare.

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