Nelle ultime 48 ore è successo qualcosa nella politica italiana, e verrebbe da chiedersi, parafrasando il titolo di un celebre film, “Chi ha incastrato Matteo Renzi”.
Su queste pagine ho di recente criticato alcune posizioni del sindaco di Firenze e la sua proposta di legge elettorale; ad agosto scorso in un articolo gli mettevo addosso i panni del cacciatore che punta il coniglio (il Pd). Non vorrei adesso che proprio lui vestisse i panni di Roger Rabbit e si facesse incastrare.
Non ho cambiato opinione sulle sue proposte, ma – anche se le considero poco accorte – mi sembra innegabile che Renzi rappresenti una risorsa per la politica italiana, una delle poche, se non l’unica nel breve periodo. Di qui la necessità di porre all’attenzione il pericolo imminente, soprattutto in vista della direzione del suo partito che si tiene oggi.
Renzi è destinato – tranne eventi eccezionali – a diventare premier. Ma in che modo?
In questi giorni vi è una certa veemenza in alcuni media, dietro cui si celano noti poteri, per spingere il sindaco ad accettare l’incarico di sostituire Letta. Molta di questa pressure ha finito con il riversarsi sul capo dello Stato e non è stato affatto un ben vedere, non per il presidente Napolitano che sa bene come resistere, ma per il Paese che subisce l’ennesimo disorientamento. Lo stesso Renzi ha commentato la vicenda con la battuta: “ma a noi chi ce lo fa fare”.
Ed effettivamente è così, sindaco: chi glielo fa fare? Farebbe la fine di D’Alema, che nel 1998 fu usato come antidoto a Prodi (caduto per un voto), fece la guerra in Kosovo e poi, alle regionali del 2000, fu licenziato e mai più ricomparso sulla sedia di Palazzo Chigi.
Di andare a Palazzo Chigi, si può dire che Renzi abbia ormai più di una semplice aspettativa. Resta da capire se vuole andarci da leader popolare, oltre che del Pd, o sulla base di un accordo di Palazzo. La differenza è enorme.
Se vuole andarci da leader popolare, Renzi deve chiedere le elezioni politiche, anche con la legge elettorale in vigore dopo la sentenza della Corte costituzionale, senza Italicum. Al momento lo vogliono oltre il 50% degli italiani e la soglia di sbarramento del 4% porterebbe in Parlamento solo 3 partiti: il Pd, FI e il M5S. Non è detto che Ncd superi la soglia; al ritmo attuale sta perdendo circa lo 0,5% a settimana e, ammesso che non sia pure sopravvalutato, nel giro di un paio di mesi potrebbe essere sotto la soglia. In ogni caso sarebbe il quarto partito in Parlamento, con una limitata rappresentanza.
A quel punto Renzi potrebbe negoziare con FI un programma serio e avrebbe realmente mano libera. Sarebbe il leader popolare più importante e un premier legittimato dal voto; dovrebbe rendere conto solo al corpo elettorale. Anche se sbaglierà e anche se sarà sconfitto, un domani, potrà sempre continuare a fare politica e ritornare; e non sarà poco.
Se, invece, si farà incastrare e andrà a Palazzo Chigi per un accordo di Palazzo, non gli basteranno i voti presi nelle primarie come segretario del Pd a dargli la giusta legittimazione e, direi meglio, la giusta protezione del popolo. A quel punto finirebbe con il servire non il Paese, ma i poteri che al momento spingono perché lui accetti in questo modo il posto di premier; un modo alquanto subdolo, senza un voto dei cittadini italiani. Sarebbe l’inizio della fine, che arriverebbe nel giro di poco tempo.
Vorrei permettermi un’ultima osservazione da costituzionalista. Renzi si mostrerebbe molto abile – all’altezza di quanto ha sin qui lasciato intuire – se accettasse l’incarico di presidente del Consiglio, si insediasse nella posizione e richiedesse al presidente della Repubblica, subito dopo l’insediamento, lo scioglimento del Parlamento, così da presentarsi al corpo elettorale come premier e da trasformare le elezioni politiche in un referendum su di lui.
Gli italiani, con la fame che hanno di politica, lo voterebbero in massa.
Quello che farebbe dopo, nel bene come nel male, si vedrà.