La direzione del Pd ha fatto chiarezza: su richiesta del segretario Renzi ha sfiduciato il presidente del Consiglio che così è obbligato, secondo i classici principi del regime parlamentare, a rassegnare le dimissioni. Alcune forze di opposizione chiedono la parlamentarizzazione della crisi di governo. Ma sbagliano: le ragioni della crisi sono autoevidenti e riposano sul documento votato quasi all’unanimità dal partito di maggioranza relativa. Non si vede alcuna ragione di ordine costituzionale per obbligare Letta ad un umiliante passaggio parlamentare. Nessun beneficio ne verrebbe né per le istituzioni parlamentari, né per il capo dello Stato, né per l’opinione pubblica, tutti ormai del tutto consapevoli di chi sia responsabile della crisi di governo. 



La crisi sarà breve? È probabile che Renzi sarà rapidamente incaricato di formare il Governo, e, se riuscirà nell’intento di tenere ferma l’attuale coalizione di maggioranza, è possibile che sciolga altrettanto presto la riserva e presenti al capo dello Stato la lista dei ministri. Che il governo prossimo venturo possa godere di condizioni migliori di quelle sopportate dal precedente, è una scommessa. Forse, la strada delle elezioni anticipate e, a ruota, della rinnovo della presidenza della Repubblica, si è fatta più semplice. Un qualunque incidente parlamentare, così come il sempre più difficile incedere delle riforme – in specie di quella elettorale – potrà condurre alle elezioni anticipate, pubblicamente osteggiate dai più, ma considerate ormai inevitabili da molti, tanto più alla luce delle prossime elezioni europee. 



Il sistema proporzionale derivante dalla sentenza della Corte costituzionale diventa allora una chiara misura di salvaguardia; tra l’altro, consente di evitare i rischi di quel doppio turno di coalizione immaginato nell’Italicum, che, secondo alcuni scenari, potrebbe incoronare definitivamente il movimento di Grillo, portandolo sino al vertice delle istituzioni parlamentari, e chissà, della stessa Repubblica.   

Questa vicenda insegna che la nostra forma di governo parlamentare ha risorse inaspettate, e soprattutto, che nella Repubblica italiana disegnata dalla Costituzione il presidente del Consiglio non è un Primo ministro. La differenza non è soltanto terminologica, è una questione di legittimazione e di potere. Anche se presenta un “piano Italia” in zona Cesarini, e fa pubblico cenno a presunti complotti di palazzo, non dispone di alcuna autonoma legittimazione al di fuori e senza il sostegno delle forze politiche di maggioranza; e non è titolare di un suo potere di indirizzo politico in assenza del consenso dei suoi ministri e dell’appoggio della maggioranza parlamentare.



In tutto ciò il ruolo del capo dello Stato appare oggi defilato. Ha atteso le decisioni del Pd, e sta attendendo le volontà che saranno espresse dai rappresentanti dei partiti nel corso delle prossime consultazioni. 

I probabili atti successivi − soprattutto la nomina di Renzi – saranno atti praticamente dovuti, se gli sarà assicurata una qualche probabilità di successo. Se il Governo sarà affidato a Renzi, e dunque a un non parlamentare, non sarà un’eccezione nella storia repubblicana. In passato ciò è già avvenuto in momenti parimenti difficili, se non di più. Ma qualcosa di diverso si sta verificando. Il Parlamento ha espulso Berlusconi e viene trattato con asprezza dal leader extra-parlamentare della principale forza di opposizione; dovrà tra poco confrontarsi con un altro leader esterno al Parlamento che diverrà presidente del Consiglio. Logiche politiche collocate fuori dalle Camere saranno artefici del destino delle istituzioni rappresentative. Fino a che punto il sistema potrà reggere? 

Ma nel breve termine si affaccia un altro grave problema: il Governo Letta ha portato in Parlamento molti decreti-legge di cui è in scadenza il termine di conversione. Dopo la presentazioni delle dimissioni e sino alla fiducia al nuovo Governo, il Governo dimissionario non potrà porre la fiducia che spesso si è dimostrata indispensabile per la conversione dei decreti-legge. La decadenza dei decreti in scadenza provocherà problemi gravissimi, tanto più che, secondo la Corte costituzionale, non potranno essere reiterati. Sarà l’ultimo dono di Letta e la prima polpetta avvelenata per Renzi?