Tra Machiavelli e Boccaccio, un po’ imprevedibile segretario fiorentino e un po’ scaltro Calandrino, Matteo Renzi si è impadronito del Pd scalandolo da sinistra e lo ha poi usato per stringere un accordo sulla destra con Berlusconi che gli ha consentito, in un Parlamento minacciato da scioglimento anticipato, di approdare a Palazzo Chigi promettendo un governo di legislatura. Sul modo in cui ha dimissionato e sostituito il compagno di partito, Enrico Letta, vanta illustri precedenti nella storia della Democrazia cristiana. Ma quel che interessa ora sono le ragioni obiettive che gli vanno riconosciute e gli interrogativi concreti sull’immediato futuro.
Che Matteo Renzi non potesse rimanere fermo ad aspettare è indubbio. La sua era una situazione insostenibile. Dopo la recente vittoria alle primarie rischiava una sconfitta personale alle europee. Il voto del 24 maggio è alle porte e Renzi ci stava andando da segretario-sindaco di Firenze – in prima persona, ma in secondo piano – guidando l’unico partito europeista rispetto a Berlusconi, Grillo, Lega e Sel. Se il Pd avesse avuto un buon risultato il merito sarebbe stato di Enrico Letta, premier europeista, mentre in caso di sconfitta la responsabilità sarebbe ricaduta tutta su Matteo Renzi neo segretario.
Ora affronta il voto come segretario-premier assumendosi la piena responsabilità in ogni caso. Davanti ha ben meno di cento giorni, un lasso di tempo in cui deve far dimenticare le perplessità della fulminea ascesa e dare il segno di un nuovo corso positivo aperto in Italia. A suo vantaggio c’è che “le larghe intese” di Monti e Letta non hanno lasciato grande nostalgia nell’elettorato, ma, d’altra parte, Renzi si trova ad operare con la stessa maggioranza di Letta e “la palude” non è attribuibile a difetti personali dell’ex premier, sul quale grava un faticoso assemblaggio politico. Con l’uscita di Berlusconi dalla maggioranza essa era diventata risicata, mantenendo al suo interno uguali distanze programmatiche e politiche (vedi il caso Imu e i cosiddetti “temi sensibili” dall’immigrazione alle coppie gay).
Renzi subentra a Letta con, sulla carta, la stessa maggioranza di governo e non è certo alla guida di una “macchina da guerra”. Per esercitare decisionismo, il nuovo premier ha la minaccia delle elezioni anticipate che però richiedono ancora il varo della nuova legge elettorale che comincia ad essere rinviata e rimessa in discussione. L’allargamento della maggioranza a “responsabili-volontari” non è certo da innovativo rottamatore.
L’apertura di credito da parte di Berlusconi con un'”opposizione responsabile” e cioè che eviti di trasformare in un “percorso di guerra” gli iter parlamentari dei provvedimenti governativi è il fatto nuovo che può dare spazio all’azione del nuovo capo del governo.
Ma per che cosa in cambio? L’ultima volta, secondo Berlusconi, c’era l’impegno del Pd e del Quirinale di farlo assolvere. Ora ci sarebbe la disponibilità di Renzi a concordare con il leader di Forza Italia il prossimo inquilino del Quirinale. E comunque l’avvio di una fase “costituente” che vede in primo piano il rapporto privilegiato tra Pd e Forza Italia.
Di certo Giorgio Napolitano è stato indebolito da una sovraesposizione per partorire e tenere in piedi governi di “larghe intese”. Egli sperava di rieditare una sorta di “compromesso storico” di fronte alla gravità della situazione nazionale, ma in Parlamento non c’erano i Moro, Berlinguer, La Malfa e Andreotti né partiti storici come Dc e Pci: solo “movimenti” in perenne movimento con cambiamento di nome e composizione in un Parlamento che, prima e dopo le elezioni politiche, non è stato più capace di esprimere una maggioranza politica.
Oggi irrompe sulla scena il sindaco di Firenze. Arrivare a 39 anni a Palazzo Chigi è una garanzia di avere non meri propositi di potere, ma l’ambizione di essere protagonista di una reale svolta. Come punto di forza ha il pieno controllo del partito di maggioranza relativa nonostante il brontolio degli “elefanti”. Come punto di debolezza una maggioranza risicata e non omogenea. Ma soprattutto nei prossimi giorni deve affrontare una trattativa alla quale si presenta avendo, nonostante la giovane età, una già consolidata fama di essere imprevedibile e del tutto inaffidabile nel mantenere impegni dichiarati e ribaditi.