La diretta in streaming dell’incontro tra la delegazione guidata da Matteo Renzi e quella guidata da Beppe Grillo è emblematica e tale resterà nella storia politica, non solo italiana. A differenza delle altre due dirette in streaming precedentemente avvenute con Bersani e con Letta che avevano incontrato il Movimento 5 Stelle senza la presenza del loro leader, nell’incontro tra Renzi e Grillo si è reso manifesto tutto la forza distruttiva che tali procedure di comunicazione contengono potenzialmente in sé. Va notato, con un inciso molto pertinente al fatto accaduto, che Grillo ha trovato un avversario degno di sé perché Renzi ha saputo confrontarsi con la violenza mediatica di cui Grillo è capace, sia con conoscenza dello strumento mediatico (non lasciando molti margini di manovra all’avversario), sia terminando rapidamente lo spettacolo in corso. Ma veniamo ora al significato universalistico di questo avvenimento. In primo luogo il contesto storico-concreto. Il fatto che un protagonista, in un incontro che più pubblico non si può, trasformi quello che può essere uno spazio argomentativo in un violento assalto personale contro l’interlocutore la dice tutta sul fatto che il grado di violenza nella politica italiana massmediatica ha sostituito quello del confronto e dello scambio argomentativo. In questo modo la violenza verbale e l’attacco alla persona trova una sua legittimazione che gli viene data, non dal contenuto di verità dell’argomentazione, ma come ci insegnava Mac Luhan, dal potere di convincimento del mezzo di comunicazione in sé che per il solo suo porsi può trasformare qualsiasi falsità in una verità assoluta trascendente qualsiasi evidenza empirica. Questa forma di verità massmediatica, che si incarna in un comportamento personale, diventa mitologica e resiste ad ogni principio di realtà. Del resto, quanti imputati sono stati condannati sui tribunali dei media che non praticavano il principio di prudenza della presunzione di innocenza ma invece quello della colpevolezza indimostrata? Davanti al magico potere dei media nessuna assoluzione giuridica resiste. Ma c’è qualcosa di ancora più inquietante su cui occorre meditare, se non fosse già abbastanza inquietante quanto ho or ora detto. Non si può non collegare questa diretta in streaming, così come tutte le altre manifestazioni consimili, in quella lenta inesorabile degradazione della poliarchia nell’era dell’ITC che racchiude in sé, non più la democrazia delegata, ma il terribile strumento della democrazia diretta. Già da tempo essa era posta in discussione allorché anche nel linguaggio politico il mandato parlamentare è venuto via via ad essere interpretato, non come rappresentanza della nazione, ma invece come rappresentanza dell’immediatezza dell’elettorato, del collegio, del sms. Tutto ciò annichilisce il concetto stesso di sovranità per ferire a morte il principio democratico parlamentare, trasformandolo in pratica di rappresentanza immediata, particolare, dipendente da una società che oggi si usa chiamare civile, mentre spesso è la quintessenza dell’inciviltà, della rozzezza del potere immediato, del facile consenso o del magico denaro. In questo senso, chi semina vento raccoglie tempesta, come diceva Goethe e qui il vento è la distruzione delle elites, dello stesso principio elitistico che si è via via realizzato nel mondo, e non certo solo in Italia, in questi ultimi venti anni.
Le elites non si formano più perché nessuno le seleziona: non esiste classe dirigente senza il principio di cooptazione da parte di forme diverse, ma indispensabili, di ottimati. Oggi, invece, la paretiana circolazione delle elites è la negazione stessa delle elites: è la loro scelta immediata, consensuale-di massa, come avviene nelle primarie di partito o addirittura di coalizione per scegliere chi dovrà governare non un piccolo paese di montagna o di pianura, ma un’intera nazione. La politica senza Bildung, ossia lenta formazione delle persone che di essa dovranno farsi carico per il bene comune, non è più politica, è la decisione senza compromesso o mediazione e quindi potere dello stato d’eccezione. Paradossalmente è proprio lo stato d’eccezione nel mondo dei media a levare sugli scudi il principio di trasparenza, come se la trasparenza fosse di per sé un elemento di verità e di cosa buona e giusta. La politica per il bene comune ha bisogno di abbassare costantemente i gradi di demagogia e quindi ha insito in sé il principio di realtà che comprende il diritto del politico alla segretezza, proprio per l’etica della responsabilità e non solo quella della convinzione del cui principio di responsabilità. Egli, il politico, deve essere l‘incarnazione. Lo strumento deve rimanere strumento e non deve sostituire, anche nella democrazia parlamentare poliarchica, né i necessari arcani imperii né l’indispensabile principio di realismo.