L’accelerata che ha portato Matteo Renzi a Palazzo Chigi, al posto del destituito Letta, ha fatto storcere il naso a molti. Le modalità e le tempistiche non convincono e la maggioranza degli italiani non gradisce il terzo presidente del Consiglio imposto senza passare dai seggi elettorali. Il Partito Democratico si è spaccato in più pezzi: Pippo Civati, sfidante del sindaco di Firenze alle Primarie, non ha digerito la mossa del segretario e sembra stia accarezzando l’idea di lasciare il Pd per (ri)fondare – forse insieme a Vendola? – la sinistra italiana. La lettura di Giuseppe Caldarola, ex deputato Ds e Pd ed ex direttore de l’Unità.
Il passaggio di consegne tra Letta e Renzi è stato tutto fuorché indolore. Il partito si è spaccato. Ne è valsa la pena?
Penso che la domanda andrebbe posta fra qualche settimana. Se i primi consigli dei ministri presieduti da Matteo Renzi presenteranno il timbro che lui stesso dice che avranno, allora ne sarà valsa la pena. Il governo di Enrico Letta aveva un passo troppo lento e prudente rispetto alla gravità della situazione del Paese. Renzi vuole dare un’accelerazione: se ci riesce allora il gioco è valso la candela. Se non riesce è ovvio che si tratta di un’operazione in perdita. Anticipando un giudizio, credo che sarà capace di fare cose concrete, visibili e persino clamorose nell’arco di poco tempo.
Ma il prezzo da pagare per un eventuale fallimento non rischia di essere troppo alto?
Questa domanda ne comporta un’altra…
Che sarebbe?
Si poteva fare altrimenti? Allora, proviamo a ragionare: l’alternativa a Renzi come leadership di partito era rappresentata da un mondo – quello dal quale provengo io – che ha inanellato una serie di sconfitte senza riuscire a dare una spiegazione. La sconfitta di Bersani ha lo stesso valore sistemico di quella di Gorbacëv, ovvero del tentativo di riformare dall’interno un’antica sinistra. Quindi, ripeto, non c’era alternativa a Renzi: si poteva solo andare sulla strada proposta, un po’ avventurosamente, da questo giovane protagonista della vita politica italiana. Ecco: conveniva al Pd stare fermo, traccheggiare e navigare a bordo costa oppure inoltrarsi in mare aperto?
È stata presa quest’ultima direzione…
E credo che convenga perché il navigare a vista avrebbe portato alla consunzione di questo partito. In mare aperto si possono perdere dei marinai e delle scialuppe, però se superi la tempesta hai vinto.
Parlando dunque degli umori nel Pd e delle divisioni interne. Quali sono i rapporti di forza tra le varie correnti? Penso, soprattutto, a quella civatiana
Beh, Civati ha sicuramente avuto l’atteggiamento più limpido in quanto la sua opposizione è stata dichiarata, mentre l’altra componente di sinistra ha in sostanza appoggiato l’operazione Renzi. Ma se analizziamo la prospettiva che ha tutta l’area cosiddetta di sinistra – anche esterna al Pd – ci accorgiamo del paradosso in cui vivono…
Ovvero?
Se vogliono un leader devono andare in Grecia, da Alexis Tsipras: in Italia non c’è. Non può certo esserlo Cuperlo, né Civati né Vendola. Siamo di fronte a una sinistra che vorrebbe guidare l’Italia che quando si interroga su una leadership è costretta ad immaginarsi che sia una persona che viene da un altro Paese. Questa è la contraddizione delle sinistra italiana.
Per rimanere in tema, secondo lei quali saranno i rapporti futuri tra Pd e Sel?
Il rapporto con Nichi Vendola vede un passaggio abbastanza complicato che sta fra le elezioni Europee e le prossime regionali in Puglia. Se vuole vincere ancora, per la terza volta di fila, ha bisogno del voto del Partito Democratico. Se punta invece alla candidatura europea corre però il rischio di non raggiungere il quorum; siamo dunque di fronte a un problema che riguarda il suo destino personale. In agigiunta, Nichi stesso guida un partito in cui una parte entrerebbe volentieri nella socialdemocrazia di Schultz, mentre un’altra andrebbe con Tsipras. La sua situazione è delicata e la sua posizione in merito non è chiara. Siamo di fronte a un’area politica abbastanza in crisi.
E dell’incontro di ieri tra Renzi e D’Alema cosa pensa? Cosa si sono detti?
Io penso di sapere che questo incontro sia servito a stemperare l’animosità di questi mesi. Renzi non ha interesse nell’avere tutti nemici nel Pd, anche quelli che ha rottamato. D’Alema, dalla sua, è un uomo di grande senso pratico: ha interesse che il partito non si spacchi e sa che Renzi si è guadagnato la segreteria a suon di voti e che quindi bisogna non delegittimarlo, bensì approcciarsi a lui concretamente. Per me, dunque, è stato positivo il fatto che si siano confrontati.
Mentre il ruolo di Prodi?
È il candidato alla presidenza della Repubblica; probabilmente questa è un’idea che frulla (anche) nella testa dello stesso Renzi. Certo, molto dipenderà dall’evoluzione del quadro politico dal giorno in cui Giorgio Napolitano deciderà di chiudere la sua seconda esperienza al Quirinale. Ho insomma l’impressione che il professore si stia preparando a dare il proprio sostegno a Matteo Renzi.
(Fabio Franchini)